[A cura di: avv. Ermenegildo Mario Appiano – segretario Alac Torino]
Mediante due recenti sentenze (numero 18213 e 18214), entrambe rese il 17 settembre 2015, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno in buona sostanza tolto una volta per tutte ai locatori ogni interesse a non registrare i contratti di locazione per eludere il fisco. Nella prima di dette sentenza (la numero 18213), le Sezioni Unite hanno infatti chiarito che non è sanabile la nullità dei contratti locazione non registrati, perlomeno quando ciò accade nel contesto di un’operazione di elusione fiscale realizzata mediante la simulazione di un canone inferiore a quello reale.
Si tratta del caso “classico” in cui – al momento della stipulazione del contratto di locazione – il locatore richiede un certo canone (ad esempio 1700 euro mensili), ma desidera dichiararne al fisco uno inferiore (ad esempio 387 euro).
Per riuscire nello scopo, il locatore impone al conduttore di stipulare due contratti, tra loro connessi in modo nascosto:
* il primo è il contratto simulato (“finto”, per intenderci), con cui si stabilisce il canone da dichiarare al fisco, registrando il contratto;
* il secondo è il contratto dissimulato (quello “reale”), con cui si dichiara che il primo contratto non è in realtà quello voluto dalle parti, essendo il canone pattuito superiore a quello indicato al fisco: ovviamente questo contratto non viene registrato.
Tutto funziona, almeno sino a quando non insorge un contenzioso tra locatore e conduttore, solitamente in quanto quest’ultimo smette di pagare il canone maggiore portato dal contratto “dissimulato”. A questo punto, il locatore cerca di sfrattare il conduttore, appellandosi al contratto “dissimulato”: per farlo, il locatore procede a registrare il contratto “dissimulato”, così esponendosi ad un accertamento fiscale.
Questa è la situazione oggetto della sentenza resa dalle Sezioni Unite, che hanno ora vanificato tale tipo di elusione fiscale. In estrema sintesi, dalla sentenza discendono le seguenti conseguenze:
* anche se registrato tardivamente, il contratto “dissimulato” è nullo;
* resta valido il contratto “simulato” a suo tempo registrato (quello cioè con il canone “finto”);
* il fisco non può pretendere dal locatore le imposte commisurate sul canone indicato dal contratto “dissimulato”, perché nullo;
* il conduttore può però riavere dal conduttore tutte le somme nel tempo pagate in eccedenza rispetto al canone portato dal contratto “simulato”: in altre parole, resta dovuto solo il canone “finto”;
* nel ripetere le somme pagate in eccedenza, sul piano probatorio il conduttore potrà altresì giovarsi della presunzione di avvenuto pagamento dei canoni arretrati fino alla data in cui il locatore stesso abbia lamentato l’inadempimento della relativa obbligazione (così esonerandosi lo stesso conduttore dall’onere – ai limiti della materiale impossibilità – di dimostrare il versamento del canone in eccedenza fino a quella data rispetto a quello indicato nel contratto registrato, versamento del quale, comprensibilmente, egli non potrà dar prova, avendo sovente il locatore avuto cura di non lasciare tracce documentali di tale illegittima ricezione).
Nella seconda sentenza (la n.18213), invece, le Sezioni Unite hanno colpito i meccanismi fondati sulla stipulazione in forma verbale dei contratti di locazione. Secondo i giudici, infatti, il contratto verbale di locazione abitativa è viziato da nullità assoluta, salvo il caso in cui si provi che sia stato il locatore ad abusare della propria posizione di forza nell’imporre la mancanza di forma scritta. In tale ultima ipotesi è solo il conduttore il soggetto legittimato a far valere la nullità del contratto.
La mancanza di forma scritta nei contratti di locazione ad uso abitativo ne determina quindi la nullità relativa – invocabile dal solo conduttore – unicamente qualora venga dimostrato che sia stato il locatore ad aver preteso l’instaurazione del rapporto di fatto (e cioè non formalizzato con un contratto scritto), e che quindi la nullità del contratto sia a lui attribuibile, mentre il conduttore deve averla solo subita. Negli altri casi, invece, il contratto è afflitto da nullità assoluta: ciò comporta come conseguenza l’obbligo di restituzione dell’immobile con effetto immediato dalla dichiarazione di nullità del contratto, venendo meno il suo titolo giustificativo ad occupare l’immobile stesso.
In questo caso, dunque, si scoraggia anche il conduttore ad accettare di favorire il ricorso a pratiche elusive, in quanto egli può incorrere nel rischio di perdere la disponibilità dell’alloggio, salva sempre la possibilità di ripetere dal locatore le somme pagate in virtù dell’accordo viziato da nullità (il che comporta sempre un danno sensibile per il locatore).
In entrambe le sentenze in esame le Sezioni Unite hanno poi assunto toni molto fermi rispetto al fenomeno dell’elusione fiscale, così sancendo: “su di un più generale piano etico/costituzionale, e nel rispetto della essenziale ratio della legge del 1998, la soluzione adottata impedisce che, dinanzi ad una Corte suprema di un Paese Europeo, una parte possa invocare tutela giurisdizionale adducendo apertamente e impunemente la propria qualità di evasore fiscale, volta che l’imposizione e il corretto adempimento degli obblighi tributari, lungi dall’attenere al solo rapporto individuale contribuente-fisco, afferiscono ad interessi ben più generali, in quanto il rispetto di quegli obblighi, da parte di tutti i consociati, si risolve in un miglior funzionamento della stessa macchina statale, nell’interesse superiore dell’intera collettività”.