[Prof. Avv. Rodolfo Cusano – Avv. Amedeo Caracciolo]
Premessa
Un condomino ricorreva al Tribunale di Napoli per l’impugnativa di una delibera assembleare che, nell’ambito di lavori concernenti l’intero fabbricato aveva ripartito spese inerenti il lastrico solare di (dubbio) uso esclusivo ex art. 1123 c.c. e non ex art. 1126 c.c.
L’atto di citazione veniva notificato oltre il termine di trenta giorni dalla notifica del verbale all’attore impugnante, che lamentava altresì la circostanza che dal tenore dello stesso non si evinceva espressamente il criterio di ripartizione adottato, comunque comunicato successivamente assieme al verbale.
Si costituiva il Condominio in giudizio eccependo la tardività della notifica dell’atto di citazione (effettuato oltre il termine di trenta giorni dalla notifica del verbale) e la cessazione della materia del contendere, atteso che, nelle more, era intervenuta una nuova delibera assembleare che aveva modificato la ripartizione nel senso auspicato dal ricorrente.
Le questioni affrontate dal Tribunale
Due le questioni di interesse rilevante affrontate dal Tribunale nel caso in questione:
1- Nullità o annullabilità della delibera che viola “in concreto” una ripartizione delle spese.
2- I presupposti alla base della dichiarazione di cessazione della materia del contendere quando una delibera viene sostituita da una successiva con pari o.d.g. ma con un deliberato di segno opposto.
1- In merito alla prima questione, il Condominio eccepiva che la delibera adottata era, al più, annullabile e pertanto l’impugnativa andava rigettata essendo stato disatteso il termine di trenta giorni a pena di decadenza ex art. 1137 c.c. per l’instaurazione del giudizio. Sostenendo ciò era sottintesa l’adesione all’orientamento che ritiene ancora valida la distinzione tra violazioni in concreto e violazioni in astratto dei criteri di riparto con conseguente rispettiva annullabilità o nullità della delibera. Giova ribadire che, ci si trova innanzi a violazione in astratto dei criteri legali, e conseguente nullità della delibera, quando si deroga agli stessi in assenza di accordo unanime dei partecipanti al condominio, in maniera espressa e stabile mentre, viceversa, ricorre la meno grave ipotesi di annullabilità della delibera quando si effettuano dei riparti che in concreto vadano a violare (rectius a mal applicare) i criteri già stabiliti dalla legge, come nel caso in cui, pur rispettando l’astratto criterio normativo, si deroghi allo stesso, anche per errore, nel singolo caso concreto (Cass. 10586/2019, 11289/2018, 27016/2011).
Già le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza n. 4806/2005, avevano chiarito che la delibera assunta nell’esercizio delle attribuzioni assembleari di cui all’art. 1135 nn. 2 e 3 e relativa alla ripartizione in concreto delle spese condominiali ove adottata in violazione dei criteri già stabiliti è “meramente” annullabile in quanto non incide sui criteri generali da adottare nel rispetto dell’art. 1123 c.c.
Nulle sarebbero, viceversa, le sole delibere affette da vizi sostanziali oppure aventi ad oggetto materie sottratte alla competenza dell’assemblea.
Alla stregua di tale orientamento, la relativa impugnazione doveva essere proposta dunque nel termine di decadenza previsto dall’art. 1137 c.c.
Il Tribunale, viceversa, accertato l’uso esclusivo del lastrico da parte dei condomini dell’ultimo piano, riteneva di aderire all’orientamento più recente, considerando sempre nulla la delibera dell’assemblea che violi i criteri legali di ripartizione o quelli di cui al regolamento.
Tale orientamento non pone distinzioni e sostiene che tutte le deliberazioni dell’assemblea comunque adottate in violazione dei criteri normativi o regolamentari di riparto sono da considerarsi nulle in quanto rese in “eccesso di potere” rispetto alle attribuzioni assembleari, non potendo la maggioranza dei partecipanti incidere sulla misura degli obblighi dei singoli condomini fissati dalla legge o dal regolamento contrattuale, occorrendo a tal fine un accordo unanime espressione dell’autonomia negoziale (Cass. nn. 19832/2019, 470/2019, 33039/2018, 19651/2017).
In particolare, in attesa che la questione sia chiarita una volta per tutte dalle Sezioni Unite, così motiva il Tribunale di Napoli nel caso in questione: “la delibera la quale stabilisca un riparto delle spese in violazione di un criterio legale è nulla e non già annullabile, a meno che non sia adottata all’unanimità e sia frutto di un accordo negoziale derogatorio rispetto ai criteri di imputazione della spesa stabiliti per legge (cfr Cass. civ., sent. n. 5125 del 03.05.1993; Cass. civ., sent. n. 5814 del 23.03.2016, relative al caso in cui era stata lamentata la deroga al criterio di riparto delle spese di cui all’art. 1126 c.c.). Giacché quello denunziato è un vizio di nullità della delibera, lo stesso non è soggetto al termine decadenziale di cui all’art. 1137 c.c., con conseguente rigetto dell’eccezione di tardività dell’impugnazione mossa dal condominio convenuto”
2- Sulla diversa e parimente interessante questione il Tribunale Campano chiarisce che nella fattispecie in oggetto non poteva essere adottata alcuna statuizione di cessazione della materia del contendere.
La cessazione della materia del contendere, infatti, è una statuizione la quale può essere adottata, anche d’ufficio, dal giudice, purché verifichi e valuti l’effettivo venir meno dell’interesse ad una decisione sul merito della vertenza (cfr Cass. civ., ord. n. 19568 del 04.08.2017).
Nel caso in esame con la successiva delibera cui si è fatto riferimento nella premessa del presente contributo, l’assemblea condominiale, pur recependo le indicazioni degli opponenti in punto di regolamentazione delle spese dei lavori al lastrico solare, aveva espressamente affermato la legittimità della loro ripartizione secondo Tabella A, ripartizione di cui alla prima delibera impugnata.
A parere del Tribunale, dunque, sussisteva e permaneva, pertanto, l’interesse delle parti alla verifica della validità del precedente deliberato.
Secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità il disposto dell’art. 2377 c.c., previsto per le società di capitali, è analogicamente applicabile anche ai giudizi di impugnativa di delibere condominiali sicché, nel solo caso in cui la delibera impugnata sia sostituita da successiva delibera, facendo venire meno il motivo di contrasto fra le parti, si determina la cessazione della materia del contendere (Cass. civ., sent. n. 20071 del 11.08.2017; Cass. civ., sent. n. 11961 del 28.06.2004).
Ed infatti, per il caso in questione, in occasione della seconda assemblea i condomini, pur decidendo di modificare il criterio di riparto adottato nella delibera impugnata, riaffermavano espressamente – a verbale – la piena validità dello stesso.
Il Tribunale, dunque, non dichiara la cessazione della materia del contendere specificando che, affinché tale effetto si determini, occorre che la seconda delibera abbia la precipua finalità di rimuovere l’iniziale causa di invalidità, giacché solo in tal caso viene meno l’interesse all’impugnativa della prima delibera (cfr. Cass. civ., ord. n. 10847 del 08.06.2020 la quale, in motivazione, chiarisce quanto segue: “perché possa verificarsi la rinnovazione sanante con effetti retroattivi, alla stregua dell’art. 2377, comma 8, c.c., è necessario che la deliberazione impugnata sia sostituita con altra che abbia un identico contenuto, e che cioè provveda sui medesimi argomenti, della prima deliberazione, ferma soltanto l’avvenuta rimozione dell’iniziale causa di invalidità (Cass. Sez. 2, 09/12/1997, n. 12439; Cass. Sez. 2, 30/12/1992, n. 13740; Cass. Sez. 2, 19/04/1988, n. 3069). Ove, invece, l’assemblea decida di revocare la precedente deliberazione e di adottarne altra avente una portata organizzativa del tutto nuova, gli effetti di quest’ultima decorrono soltanto da quando sia stata assunta”).
Nel caso in esame, non avendo avuto la seconda delibera valore ricognitivo della invalidità del primo deliberato, permaneva l’interesse delle parti all’accertamento della legittimità, o meno, della delibera impugnata.
Andava, quindi, affermato, a parere del Tribunale, l’interesse all’impugnazione della delibera da parte dell’attore, delibera che dunque veniva dichiarata nulla per l’adesione del Tribunale all’orientamento più rigoroso sopra descritto .
Conclusioni
Da tale arresto giurisprudenziale possono trarsi le seguenti considerazioni.
La dichiarazione di nullità radicale della delibera assembleare che decida di ripartire una spesa in deroga a criteri di legge appare eccessiva, legittimando impugnative anche a distanza di anni e rischiando di determinare, sotto diversi punti di vista, una instabilità della gestione del Condominio soprattutto in casi-limite nei quali, per le non chiaramente qualificabili caratteristiche edili e architettoniche dei fabbricati (ad es. sopraelevazioni, tetti cd. “a falde”, corpi di fabbrica separati da giunti tecnici) converrebbe “contenere” le possibili impugnative entro e non oltre il termine, più che sufficiente, di trenta giorni dalla delibera o dalla ricezione del verbale (considerando che detto termine è interrotto anche dalla mera istanza di mediazione obbligatoria).
Così facendo, si salvaguardano, contemporaneamente, l’efficienza di gestione e di appalto di lavori (anche di grande portata, attesi gli attuali benefici fiscali per tutti i condomini) e la “certezza del diritto”, che viceversa sarebbe denegata aderendo all’indirizzo giurisprudenziale che ravvisa a priori il vizio di nullità per ciascun errore di riparto.
Ovviamente, tutto quanto sopra, con il correttivo della utilissima distinzione tra errori in astratto, che comunque comporterebbero nullità della deliberazione (nei casi in cui si decida ad esempio, che da un momento in avanti, si ripartiranno spese inerenti a beni e servizi comuni ex art. 1117 c.c. “in parti uguali”) ed errori in concreto, comunque rilevabili a pena di annullabilità, nel termine perentorio di trenta giorni nei casi-limite in cui, nel dubbio tra più criteri, non si addossi la responsabilità all’amministratore nel dar luogo a delibere radicalmente nulle. Anche sotto il profilo della tutela del mandatario della compagine, infatti, tale distinzione sembra più ragionevole.
Sdoganando, viceversa, a tutti i livelli, la fattispecie della nullità, non limitandola alle sole ipotesi di errore di ripartizione in astratto, fioccheranno anche i provvedimenti cautelari di sospensione dell’efficacia delle delibere, con seri – e oltremodo iniqui e gravosi – effetti sulle gestioni, senza considerare il potenziale aumento a dismisura del contenzioso.
Per ciò che concerne, invece, la diversa questione della cessazione della materia del contendere, è doveroso tenere a mente che nel processo intenzionale e motivazionale delle scelte assembleari occorre addurre preciso riferimento alla volontà di rimozione dell’atto impugnato al fine di far venir meno l’interesse contenzioso del condomino impugnante. Ovviamente resterà comunque salva la prosecuzione del giudizio, con decisione limitata alle sole spese legali in ossequio al principio della cd. soccombenza virtuale.