[A cura di: avv. Rodolfo Cusano]
La corretta impostazione della ricerca di quale sia il concetto di “istituto condominiale” secondo la recente legge di riforma del condominio, non può che partire dall’analisi del dato testuale di cui all’art. 1117 c.c. Infatti, è appunto attraverso questa analisi che giungeremo a definire “il condominio” come l’istituto caratterizzato da un nesso di strumentalità tra beni in comune e proprietà singole, legame necessario per la sua stessa esistenza. A dirlo con le parole del Terzago: “il condominio si caratterizza per il nesso indissolubile che lega i beni in comune alle proprietà singole”.
IL C.C. DEL 1942
Nel codice civile del 1942, ( R.D. 16 marzo 1942 n. 262) il primo articolo del Titolo VII, Capo II, dedicato al condominio negli edifici e intitolato “Parti comuni dell’edificio”, aveva questa formulazione:
Art. 1117 – Parti comuni dell’edificio. “Sono oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piani di un edificio, se il contrario non risulta dal titolo:
1) il suolo su cui sorge l’edificio, le fondazioni, i muri maestri, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni d’ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e in genere tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune;
2) i locali per la portineria e l’alloggio del portiere, per la lavanderia, per il riscaldamento centrale, per gli stenditoi e per altri simili servizi in comune;
3) le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere che servono all’uso e al godimento comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli acquedotti e inoltre le fognature e i canali di scarico, gli impianti per l’acqua, per il gas, per l’energia elettrica, per il riscaldamento e simili, fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condòmini.
DOPO LA RIFORMA
Il legislatore della riforma, attesa la fondamentale importanza di tale disposizione ha pensato di ampliarne la specificità suddividendola in quattro diversi articoli di cui il primo è il seguente:
Art. 1117 – Parti comuni dell’edificio. “Sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio, anche se aventi diritto a godimento periodico e se non risulta il contrario dal titolo:
1) tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune, come il suolo su cui sorge l’edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e le facciate;
2) le aree destinate a parcheggio nonché i locali per i servizi in comune, come la portineria, incluso l’alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune;
3) le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all’uso comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l’energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell’aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche.
QUALI NOVITÀ
Al primo comma si nota che non si fa più riferimento al piano (o porzione di piano) dell’edificio ma alle “singole unità immobiliari”: è questa una mera innovazione stilistica che non muta il significato sostanziale della locuzione ma risulta certamente apprezzabile poiché, anche nell’uso comune, si fa sempre esclusivamente riferimento alle singole unità immobiliari, anche se il concetto ne risulta ampliato a tutte le fattispecie possibili anche se al di fuori di quella del fabbricato, strettamente inteso.
La seconda innovazione posta al primo comma consiste nella specificazione “anche se aventi diritto a godimento periodico”: in questo caso l’innovazione è tutt’altro che felice, poiché sembra riferirsi al contenuto tipico dei diritti reali di godimento1 mentre probabilmente il legislatore intendeva riferirsi al condomino in multiproprietà ex artt.69 ss. Dlgs.206/20052 ma, in tal caso, sarebbe stato meglio specificarlo onde evitare confusioni3: in ogni caso4 l’estensione dell’applicazione a tutti i detti soggetti non era posta in dubbio né dalla dottrina né dalla giurisprudenza, per cui tale specificazione non risultava affatto necessaria.
Al numero 1) sono stati aggiunti i riferimenti ai pilastri, alle travi portanti ed alle facciate5 che sono specificazioni certamente corrette, ma che nulla aggiungono alle interpretazioni che portavano ad includervi tali parti in maniera estensiva: tanto è vero che rimane il generico riferimento a “tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune”, il quale è stato portato all’inizio del testo, cosa che amplifica il carattere esemplificativo e non esaustivo di tale norma, e che non vieta ma anzi consente e stimola ulteriori futuri ampliamenti e specificazioni.
Al numero 2) sono stati eliminati i riferimenti ai locali per il riscaldamento mentre sono stati aggiunti i riferimenti alle aree destinate a parcheggio ed ai sottotetti: molto opportuna soprattutto la prima inclusione relativa ai parcheggi cui, come noto, il legislatore ha nel corso degli anni dedicato una notevole mole di norme anche se, per entrambe le dette innovazioni, deve ripetersi che erano già state incluse tra le parti comuni con opinione concordante di dottrina e giurisprudenza.
Al numero 3) è stato eliminato il riferimento al “godimento” che certamente era pleonastico in quanto già compreso nel riferimento all’uso comune che correttamente resta nella nuova formulazione. Inoltre, rilievo soltanto stilistico, senza alcuna valenza contenutistica, sono “gli impianti idrici e fognari” al posto dei vecchi acquedotti, fognature e canali di scarico; altrettanto dicasi per tutti gli impianti e sistemi centralizzati cui si aggiungono ora quelli “per l’accesso a qualunque altro genere di flusso informativo” del tipo dei collegamenti internet6: la norma ora è più specifica poiché distingue correttamente tra impianti unitari e comuni ma in sostanza non detta nuove regole in materia.
Una notazione a parte va fatta per gli impianti per la ricezione radiotelevisiva, estremamente presenti in Italia, il cui riferimento va collegato con l’attuale art.1112 bis che introduce un vero e proprio favor per gli impianti televisivi centralizzati per apprezzabili fini: difatti con gli impianti centralizzati si hanno maggiori possibilità di risparmio, di miglioramento qualitativo del segnale e, soprattutto, di minor impatto ambientale. L’ultimo inciso relativo alle normative in tema di reti pubbliche sebbene opportuno è comunque anodino in quanto la prevalenza di tali leggi speciali era, e resta, in re ipsa.
I SOGGETTI
Al fine di meglio chiarire la portata dell’art. 1117 bis del codice civile e, quindi determinare a chi si applicano le norme di cui al Libro III della proprietà, Titolo VII della comunione, Capo II “Del condominio negli edifici” occorre precisare che trattasi di quell’istituto, avente regole sue proprie, diverse da quelle che regolano la comunione. Istituto che disciplina tutti i casi in cui: “più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti in comune ai sensi dell’art. 1117 c.c.”
L’allargamento dell’originaria previsione data dall’art. 1117 c.c. (vecchio testo) solo ad un fabbricato composto da più piani, è servita al legislatore ad eliminare le incertezze applicative che sussistevano in ordine all’applicazione delle regole condominiali nei casi di: condominio orizzontale, supercondominio, condominio minimo, ecc. L’esigenza di certezza è evidente allorché dal testo dell’art. 1117 c.c. la legge di riforma ha eliminato il riferimento al fabbricato e sostituito lo stesso con il riferimento alle singole unità immobiliari dell’edificio.
Così facendo, da un lato si è mantenuto il riferimento all’edificio, dall’altro si è estesa l’applicazione dell’istituto condominiale a tutti quei casi (molteplici nella pratica) in cui uno o più unità immobiliari o edifici abbiano parti comuni ai sensi dell’art. 1117 c.c.
Da ciò che l’interprete non dovrà più far fatica nello stabilire a chi applicare l’istituto:
a) quando vi è un’espressa previsione normativa; e mi riferisco all’ipotesi di un solo edificio e della multiproprietà indicate espressamente dall’art. 1117 c.c.;
b) quando pur in mancanza di un preciso riferimento normativo, si verifichino e sussistano le condizioni di cui all’art. 1117 bis e cioè che tra più unità immobiliari o edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici sussistano parti in comune ai sensi dell’art. 1117 c.c.
Ciò sta a significare che dall’originario edificio, oggi si è passati ad una platea di soggetti più ampia, che comprende qualsiasi unità immobiliare, sopra terra o addirittura sottoterra. Si immagini ad esempio delle grotte aventi accesso comune ed altri servizi in comune, quali: la guardiania, l’illuminazione, il cancello di ingresso, ecc. È stata quindi ampliata l’applicazione anche alle villette ad un solo piano, ai garages sopra o sotto terra, ma cosa più importante di tutte: la scelta nell’applicabilità della disciplina della comunione ovvero quella sul condominio deve seguire l’unico principio dell’esistenza o meno dei cd. beni in comune.
Premesso che, anche nella nuova versione, nell’art. 1117 c.c. è rimasto il riferimento ai proprietari ed all’edificio, occorre considerare che:
a) per aversi condominio occorrono più proprietari e quindi almeno due persone (da ciò che la nascita del condominio si fa risalire al primo atto di vendita in cui il costruttore aliena il primo appartamento);
b) che su detto edificio deve, conseguentemente, sussistere la proprietà separata o superficiaria su piani o su appartamenti ovvero secondo la riforma su singole unità immobiliari.
Infatti, in generale qualora si costruisca su di un terreno, in virtù del principio dell’accessione (art. 934 c.c.) tutto ciò che si è costruito diventa automaticamente del proprietario del suolo. Questa presunzione però può essere vinta mediante il titolo. Tale titolo è proprio il rogito notarile di compravendita tra un terzo ed il proprietario del terreno dal quale si evince che il primo abbia acquistato la proprietà di una costruzione già esistente ovvero il diritto di farne una nuova. Si tratta quindi di una proprietà superficiaria ovvero distinta su cose sovrapposte. Qualora il proprietario del terreno invece mantenga la proprietà dei primi piani, parleremo allora di proprietà separata.7
Da tale coesistenza di più proprietà separate deriva l’esigenza di imporre limiti nel godimento delle cose di cui ciascuno ha la proprietà esclusiva nonché quella di disciplinare l’uso ed il godimento delle parti comuni dell’edificio.
BENI IN COMUNE
Da queste preliminari considerazioni scaturisce la primaria necessità di individuare quali siano i beni in comune cui ci riferiamo:
a) di essi l’art. 1117 c.c. fornisce un elenco non tassativo;
b) in virtù dell’art. 1123 terzo comma non è vero che tutti i beni appartengono a tutti i condòmini, ma è vero invece che nel caso in condominio esistano, più scale, più tetti, più cortili, ecc. detti beni appartengono solo a chi li usa. Tale principio meglio chiamato del “condominio parziale” è ormai di pacifica applicazione sia in dottrina che in giurisprudenza.
A questo punto possiamo introdurre il ragionamento logico per capire se siamo in presenza o meno di un bene in comune. La coesistenza di beni accessori a beni in proprietà singola è stata la discriminante usata nelle parole del prof. Terzago8 per attribuire al condominio la particolarità di essere una disciplina autonoma, sia pure generata dalla comunione. Egli definiva appunto il condominio come caratterizzato dal: “nesso indissolubile tra proprietà singola e proprietà comune”. Tale considerazione, come abbiamo appena detto, è vieppiù confermata dai principi cui si è ispirata la recente riforma.
La presunzione che i beni siano in comune si fonda sul presupposto che il bene stesso sia destinato o serva all’uso comune. Tale presunzione non può nemmeno essere superata dal diritto di accessione posto che, in condominio, deve necessariamente esserci un titolo inteso come negozio giuridico ovvero un’usucapione, che appunto impediscono l’operare dell’accessione.
Essa presunzione può invece essere vinta da un’espressa previsione contraria indicata nel titolo costitutivo del condominio, nel senso che ove nel rogito notarile di vendita del primo appartamento il proprietario non operi un’espressa riserva di proprietà di quelli che sono i beni accessori, essi si considerano in comune ai sensi dell’art. 1117 c.c.9
Chiarita quale sia la portata della disposizione normativa appena citata, per completezza di disamina occorre precisare che i beni accessori sono tali perché servono i beni principali (unità immobiliari), oppure possono essere accessori anche per destinazione prevista nel titolo. Ciò accade quando, anche se strumentalmente non appaiono collegati, in quanto ad utilità, alle singole unità, essi comunque sono destinati a servirle per espressa volontà delle parti. Tale previsione può essere inserita nel regolamento contrattuale di condominio e poi questo, a sua volta, recepito nel primo rogito notarile di vendita ovvero direttamente in questo ultimo.
Per esempio: in assenza di volontà contraria, gli spazi destinati a parcheggio vengono a ricadere – per effetto del vincolo pertinenziale di cui si è detto – fra le parti comuni di cui all’art. 1117 c.c.. In proposito, è appena il caso di ricordare che il diritto di condominio su un bene comune presuppone la relazione di accessorietà strumentale e funzionale che collega i piani o le porzioni di piano di proprietà esclusiva agli impianti o ai servizi di uso comune, rendendo il godimento del bene comune strumentale al godimento del bene individuale e non suscettibile di autonoma utilità, come avviene invece nella comunione.
ATTO E TITOLO
Al fine di stabilire se siano stati o meno esclusi dal novero delle cose comuni previste dall’art. 1117 cod. civ. ovvero se sussista un titolo contrario alla presunzione di comunione di cui alla norma citata, va fatto riferimento esclusivamente all’atto costitutivo del condominio, e, quindi, al primo atto di trasferimento di una unità immobiliare dell’originario unico proprietario dell’intero fabbricato – comportante il frazionamento della proprietà dell’edificio: peraltro, da tale atto devono risultare in modo chiaro ed inequivocabile elementi rivelatori della esclusione della condominialità del bene, non potendo tali beni, successivamente, essere sottratti alla loro destinazione comune10.
Ulteriore conseguenza di quanto disposto dall’art. 1117 c.c. è che, quando manca il titolo e non è disposto altrimenti, la norma dettata dall’art. 1117 c.c. disciplina l’attribuzione del diritto di condominio (non la semplice presunzione).
Infatti, diversamente da quanto è scritto nell’art. 880 c.c. (“il muro che serve di divisione tra edifici si presume comune”) e nell’art. 881 c.c. (“si presume che il muro divisorio tra i campi, cortili, giardini ed orti appartenga al proprietario …”), i quali disciplinano la cosiddetta presunzione relativa – ovverosia l’effetto preclusivo di grado inferiore – la formula dell’art. 1117 c.c. non parla di presunzione: dice che sono “oggetto di proprietà comune”. Non contempla un fatto di conoscenza, ma un fatto di attribuzione del diritto. Per cui possiamo dire che, quando il titolo non dispone altrimenti, il diritto di condominio nasce dalla legge11.
Nel caso di trasferimenti delle unità immobiliari site nell’edificio, se con l’atto negoziale non viene manifestata esplicitamente una diversa volontà, la legge riconduce alle parti accessorie – alle cose, agli impianti ed ai servizi di uso comune, individuati tramite il collegamento materiale e funzionale – gli effetti acquisitivi derivanti dagli atti concernenti i beni principali, cioè i piani o le porzioni di piano.
Dal codice, questi (i piani o le porzioni di piano) sono considerati come beni principali; gli altri (le cose, gli impianti ed i servizi di uso comune) come beni accessori. In virtù del collegamento strumentale – materiale e funzionale, configurato rispettivamente dalla necessità per l’esistenza o per l’uso, ovvero dalla destinazione all’uso o al servizio – l’efficacia del fatto traslativo riguardante i beni principali (i piani o le porzioni di piano) si propaga ai beni accessori (alle cose, gli impianti ed i servizi di uso comune), secondo il principio “accessorium sequitur principale”12.
DESTINAZIONE
Ultima precisazione è quella che per l’applicazione del regime condominiale non è importante la destinazione delle unità immobiliari. Nel senso che ciò che necessita è di essere in presenza di unità immobiliari. Poi, esse possono avere la più diversa destinazione: abitativa, deposito, negozio, centro commerciale, alberghiera, ecc.
Per dimostrare la compatibilità del regime di condominio con la destinazione alberghiera ad esempio (quindi, per dimostrare che la destinazione alberghiera non impedisce il sorgere del regime del condominio e, viceversa, e quindi che il mutamento della destinazione non raffigura il presupposto necessario per la costituzione dell’assetto condominiale), basta considerare che in uno stesso edificio possono ben esistere più unità immobiliari soggette a proprietà esclusiva e a destinazioni diverse, e che in questi casi insorge il regime del condominio (per esempio, i primi piani sono destinati ad albergo, i piani alti destinati ad abitazione; oppure, nello stesso edificio possono essere collocati due alberghi distinti appartenenti a proprietari diversi).
Da questa considerazione particolare scaturisce una proposizione di ordine generale. Una cosa è la destinazione dell’uso; altra la coesistenza dei diritti di proprietà e di condominio. Le due situazioni giuridiche sono del tutto separate ed autonome. Il regime del condominio non dipende quindi dalla destinazione d’uso delle cose in proprietà esclusiva, sebbene dall’esistenza nello stesso edificio di più proprietà separate.
Per cui possiamo concludere dicendo con i principi già affermati dal Terzago che, anche secondo la recente riforma, è del tutto irrilevante la destinazione della proprietà, determinata dalle norme concernenti l’urbanistica, il paesaggio, l’ambiente etc., perché per l’esistenza del regime del condominio è necessaria e sufficiente l’esistenza – assieme a quella delle unità in proprietà esclusiva – di cose, impianti e servizi destinati all’uso comune.
NOTE
1 Ma in questo caso o si è proprietario (titolare del diritto di piena proprietà che ha ovviamente anche diritto al godimento) oppure si è titolare di un diritto reale di godimento.
2 L’artt.69 ss. Dlgs.206/2005 definisce il condomino in multiproprietà come colui che ha diritto al godimento su uno o più alloggi per il pernottamento per più di un periodo di occupazione.
3 “Sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio, o di coloro che sulle medesime vantino un diritto ex art.69 lett. a) D.Lgs.206/20056, …”.
4 Un’ultima notazione riguarda il fatto che comunque il titolare di un tale diritto di godimento periodico non potrebbe avere la comproprietà sulla parte comune ma sulla stessa vanterebbe sempre il medesimo diritto (in comunione) e pertanto imprecisa appare la iniziale dizione “Sono oggetto di proprietà comune …”.
5 Irrisolto resta il problema dei balconi che poteva essere definitivamente chiarito e sui quali l’opinione dominante propende per escluderli dalle parti comuni essendo parti soggette a proprietà individuale di ciascun condomino.
6 Nuovo è il riferimento agli impianti per il condizionamento dell’aria divenuti nel corso degli anni molto comuni laddove, in pratica, non esistevano affatto all’epoca di emanazione del codice civile.
7 vedi Salis – Ed. 1959 – Il condominio negli edifici, pagg. 3 e 4.
8 per un approfondimento vedi Terzago, Celeste, Salciarini Il condominio Giuffrè 2015.
9 Cass. Sez. Un. del 7.7.93 n. 7449.
10 Cass. del 22.11.2013 n. 26253.
11 Cass. 29.01.2007 n. 1788.
12 art. 818 c.c., comma 1.