[A cura di: avv. Rodolfo Cusano]
Nel momento in cui nasce il condominio i soggetti, titolari di una quota di proprietà piena ed esclusiva, divengono nel contempo contitolari di parti e cose comuni ed indivise. Da ciò nasce l’esigenza di una norma regolamentare (regolamento condominiale) tesa non solo a disciplinare l’uso dei beni comuni ma anche a determinare le sanzioni per la sua inosservanza.
Nell’amministrare un condominio ci si può imbattere in una triplice eventualità:
* esiste un regolamento approvato a maggioranza dall’assemblea condominiale (regolamento assembleare);
* manca un regolamento condominiale;
* esiste un regolamento predisposto dal costruttore, che ha carattere convenzionale e che vincola tutti i successivi acquirenti (regolamento contrattuale).
Circa la prima evenienza, il regolamento può e deve essere formato dall’assemblea, quando i condòmini sono superiori a dieci, con l’intervento favorevole della maggioranza statuita all’articolo 1136, comma 2, c.c. In questo caso il regolamento prende il nome di regolamento assembleare o di regolamento approvato a maggioranza. Tale regolamento deve avere un contenuto necessario, consistente in un complesso di norme destinate a regolare l’uso delle cose comuni, la loro amministrazione, la ripartizione delle relative spese, la tutela del decoro nell’edificio.
Nella seconda ipotesi (mancanza di regolamento condominiale) si deve distinguere tra condominio composto da più di dieci condòmini e condominio che non supera detto numero. Infatti, solo se i condòmini sono più di dieci il regolamento è obbligatorio ai sensi dell’articolo 1138 c.c., il quale statuisce, per converso, la mera facoltatività dell’adozione del regolamento condominiale nel caso in cui i condòmini siano inferiori ad undici. In tale ultimo caso la vita condominiale sarà comunque regolata dalle norme del codice civile ed in particolare, dagli articoli dal 1117 al 1139 nonché dalle disposizioni di attuazione del codice civile (articoli dal 61 al 72) e da eventuali leggi speciali.
Si parla, invece, di regolamento contrattuale quando è lo stesso costruttore del caseggiato che impone, già negli atti di vendita, attraverso i quali si forma il condominio, il relativo regolamento. La stessa situazione si verifica quando il regolamento è predisposto dall’unico originario proprietario, prima che le diverse unità immobiliari siano cedute a terzi. Generalmente detto regolamento, anche se non inserito testualmente nel contratto di compravendita, ne fa parte integrante, purché espressamente richiamato ed approvato (Cass. 5769/1978; sulla natura del regolamento contrattuale cfr. Cass. 12291/2011).
Il regolamento contrattuale così predisposto, oppure approvato con il consenso unanime dei condòmini, può contenere limitazioni – di carattere generale ed astratto oppure particolare – in ordine all’uso della cosa comune ed anche attribuire ai titolari di alcune unità immobiliari diritti maggiori rispetto ad altri o prevedere servitù sui beni in comune o vincoli di destinazione alle proprietà singole.
CLAUSOLA IN BIANCO
Cosa accade se invece di predisporlo prima delle vendite il costruttore lo redige in un momento successivo alle vendite e nelle stesse si fa rilasciare solo un mandato alla redazione dagli acquirenti? In tale particolare evenienza la Cassazione, fin dalla sentenza n. 506 del 1975, ebbe a ritenere perfettamente valida la cd. clausola in bianco. La Suprema Corte motivò tale assunto sulla circostanza che il carattere contrattuale della fattispecie non richiedeva la contestuale conoscenza, al momento della stipulazione del contratto di acquisto, anche del regolamento di condominio, potendo detta conoscenza essere anteriore o posteriore quando, comunque, il contratto contenga l’impegno ad osservare il regolamento stesso.
Non sono mancate pronunce di segno opposto (Cass. 16.02.2005 n. 3104 e Cass. 11.04.2014 n. 8606) con le quali si è sostenuto che l’incarico conferito al costruttore di predisporre il regolamento unitamente all’obbligo assunto nel contratto di compravendita di rispettare il regolamento di condominio non può essere assunto come approvazione di un regolamento allo stato inesistente.
Sul punto, premesso che il regolamento di condominio in tal caso fonda su una iniziativa del solo costruttore, poi approvata direttamente o indirettamente dai condòmini, ci sembra più convincente l’interpretazione della dottrina ( cfr. G. Terzago -Giuffrè 2015 pagg. 471 e ss) la quale ha invece ritenuta del tutto legittima la delega al costruttore per la predisposizione del regolamento. Il ragionamento operato per fondare tale tesi ha ritenuto che le disposizioni contenute nel regolamento condominiale non possono mai essere contrarie ai principi previsti dagli artt. 1118, 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136 e 1137 del codice civile né a quelli indicati dagli artt. 63, 66, 67, 69 e 155 delle disp. att. c.c. (norme inderogabili); né possono menomare i diritti derivanti ai condòmini dai singoli atti di acquisto delle unità immobiliari o dalle convenzioni, né possono derogare ai principi espressi negli artt. 1117, 1123, 1124, 1125 e 1126 c.c. a proposito dei beni in comune e del riparto delle spese.
Dette norme, a loro volta, qualora contrarie a tali principi, possono essere ritenute o nulle fin dall’inizio o annullabili. Per tale motivo avremo nullità immediata solo per le clausole che violando principi inderogabili si pongono di fatto come contrarie agli interessi dell’ordinamento. Per le altre, pur a volerle ritenere contrarie alla legge, esse vengono sanzionate con la mera annullabilità. Proprio per tale motivo esse possono essere sanate, perché in difetto di impugnativa l’atto annullabile conserva definitivamente la sua efficacia. In virtù di tale considerazione, unita a quella che ciò non deve necessariamente accadere perché può ben essere che il regolamento del costruttore contenga solo clausole conformi ed integrative/conformi ai principi dell’ordinamento, non vi è motivo per non voler riconoscere validità all’incarico conferito al costruttore di redigere l’emanando regolamento.
Per cui, in conclusione, non solo l’incarico alla redazione comporta anche l’obbligo di approvarlo ma non si può parlare affatto di regolamento inesistente.
Per completezza di disamina occorre però dire che, qualora il proprietario dell’edificio introducesse clausole atipiche, il condomino può sempre rifiutare di accettare quelle che comportano assunzione di obblighi o limiti ai propri diritti. Infatti, egli ha sempre la possibilità di impugnarle davanti al Giudice competente. Senza dimenticare che, nel caso de quo, attesa la natura di imprenditore del costruttore e la natura di consumatore dell’acquirente, si applica anche la normativa prevista dal Codice del Consumo (art. 33 e 37) ed in particolare la direttiva n. 93/13/CEE recepita tramite la novellazione dell’art. 1469 c.c. che sanziona con la non vincolatività l’introduzione di clausole vessatorie che non siano state sottoposte non solo preventivamente all’attenzione della controparte, ma anche in modo che essa potesse rendersi conto, effettivamente, della portata del loro contenuto precettivo. Anche per tale motivo, quand’anche nel regolamento predisposto dal costruttore vi fossero clausole limitative della proprietà, esse sarebbero inutiliter data non essendo state oggetto di specifica attenzione e trattativa tra le parti.
IL DIVIETO DI DESTINAZIONE DEGLI IMMOBILI
Abbiamo già detto come il regolamento contrattuale può essere predisposto dall’unico, originario proprietario, che lo impone ai neo acquirenti all’atto della stipula dei contratti di compravendita.
Al riguardo, l’articolo 1138 c.c. non vieta né espressamente, né tacitamente, la facoltà d’inserire nei regolamenti condominiali, predisposti dall’unico originario proprietario, disposizioni relative a riserve di diritti esclusivi di proprietà su determinate parti dell’immobile. Tali disposizioni, quando sono espressamente accettate dagli acquirenti che approvano il regolamento, assumono carattere di convenzioni, e come tali sono vincolanti sia per gli acquirenti medesimi, sia per i partecipanti al costituendo condominio, risultando opponibili anche ai terzi se trascritte (Cass. n. 1681/1983). La caratteristica saliente di tali convenzioni è che esse possono anche vietare una o più possibili destinazioni degli immobili condominiali.
Tali pesi e limitazioni non possono essere contenuti nei regolamenti approvati dall’ assemblea. Infatti, è indirizzo costante della giurisprudenza (Cass. nn. 899/1972 e 2305/1978), quello di escludere ogni possibilità, per i regolamenti assembleari, di disciplinare il diritto di usare e di godere del proprio appartamento: vengono così proibite, tra le altre, tutte quelle disposizioni in tema di divieto di destinazione od uso diverso da quello di abitazione.
Premesso che i divieti e le limitazioni posti dal regolamento contrattuale alle unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condòmini, come per esempio i vincoli ad una determinata destinazione o il divieto di mutare quella originaria, devono essere formulati in modo chiaro e contenere sia l’elencazione delle attività vietate sia il riferimento ai pregiudizi che si intendono evitare (Cass. n. 6299/2015), a tali divieti va data una interpretazione restrittiva, poiché essi vanno a ridurre la libera disponibilità della proprietà privata. L’interpretazione restrittiva comporta che solo le destinazioni espressamente indicate saranno vietate, mentre tutte le altre saranno permesse senza possibilità di interpretazione estensiva o analogica.
Ciò posto, con sentenza n. 14898/2013 la Suprema Corte ha stabilito che il regolamento predisposto dall’originario unico proprietario del complesso di edifici e accettato dagli acquirenti nei singoli atti di acquisto, qualora trascritto nei registri immobiliari, vincola tutti i successivi acquirenti senza limiti di tempo, non solo relativamente alle clausole che disciplinano l’uso ed il godimento dei servizi e delle parti comuni, ma anche per quelle che restringono i poteri e le facoltà sulle loro proprietà esclusive.
Sul punto, la Cassazione, con sentenza n. 17493 del 31 luglio 2014, ha anche affermato che non è sufficiente la trascrizione del regolamento contrattuale per dichiararne l’automatica opponibilità ai futuri acquirenti, occorrendo bensì precise modalità di compilazione della nota, con l’indicazione specifica e autonoma dei vincoli e delle restrizioni dei diritti dei singoli sulle parti di proprietà comune ed esclusiva, come nel caso della previsione di servitù reciproche o di altri diritti reali. Infatti, a dire della Corte: “L’art. 2659 c.c. va interpretato in uno all’art. 2655 c.c. Ne consegue che dalla nota di trascrizione deve risultare non solo l’atto di cui si chiede la trascrizione ma anche il mutamento giuridico che l’atto produce. Pertanto, nel caso di regolamento di condominio c.d. contrattuale, non basta indicare il medesimo, ma occorre indicare le clausole di esso incidenti in senso limitativo sui diritti dei condòmini sui beni condominiali o sui beni di proprietà esclusiva.”
Detto onere di specificità della nota di trascrizione è stato recentemente ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 21024 del 18 ottobre 2016, la quale ha affermato che: “Il regolamento di condominio predisposto dall’originario unico proprietario dell’intero edificio, ove accettato dagli iniziali acquirenti dei singoli piani e regolarmente trascritto nei registri immobiliari, assume carattere convenzionale e vincola tutti i successivi acquirenti non solo con riferimento alle clausole che disciplinano l’uso o il godimento dei servizi o delle parti comuni, ma anche a quelle che restringono i poteri e le facoltà dei singoli condòmini sulle loro proprietà esclusive, venendo a costituire su queste ultime una servitù reciproca (Cass. n. 3749/99; conforme, con riguardo ad un’ipotesi di supercondominio, Cass. n. 14898/13)”. Conseguentemente, la Suprema Corte ha ritenuto che in materia di regolamento condominiale convenzionale, la previsione ivi contenuta di limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, incidendo non sull’estensione ma sull’esercizio del diritto di ciascun condomino, debba essere ricondotta alla categoria delle servitù atipiche, e non delle obligationes propter rem.
Detta affermazione viene poi motivata con:
1) l’assenza “dell’agere necesse” nel soddisfacimento di un corrispondente interesse creditorio, che connota invece l’obbligazione anche se avente ad oggetto un non facere;
2) l’incompatibilità dell’istituto con lo schema obbligatorio della reciprocità tra i condòmini di tali limiti. Questa, infatti, ove riferita alle obbligazioni comporta che ciascun soggetto del rapporto assume ad un tempo entrambe le posizioni, debitoria e creditoria, in virtù di una causa di scambio, la quale, a sua volta, ha ad oggetto delle utilità differenti. Mentre, invece, nel caso in esame non vi può essere obbligazione reciproca, perché ciascuno deve all’altro un eguale speculare a quello cui questi è tenuto verso di lui;
3) non vi osta, invece, il fatto che il vantaggio e lo svantaggio che ne derivano, soddisfacendo per lo più un interesse inerente alla sfera personale, riguardino più che i fondi coloro che a qualunque titolo ne godano. Una tale conseguenza non è estranea alle servitù, soprattutto a quelle negative, in cui l’interferenza di interessi personali (si pensi alla servitù inaedificandi o altius non tollendi) non fa venir meno la sequela e, dunque, la realità del peso.
Una volta ricondotti tali limiti di cui al regolamento contrattuale all’istituto della servitù, l’opponibilità ai terzi acquirenti dei limiti alla destinazione delle proprietà esclusive in ambito condominiale va regolata secondo le norme proprie di questa e, dunque, avendo riguardo alla trascrizione del relativo peso. Per cui, conclude la Suprema Corte, non è sufficiente indicare nella nota di trascrizione il regolamento medesimo, ma, ai sensi dell’articolo 2659 c.c., comma 1, n. 2, e articolo 2665 c.c., occorre indicarne le specifiche clausole limitative (Cass. nn. 17493/14 e 7515/86) affinché esse possano essere opposte ai terzi.
PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
* Divieto di adibire l’immobile a gabinetto odontotecnico: Cass. 6100/1993; 19229/2014.
* Le clausole limitative delle facoltà dei condomini sulle loro proprietà costituiscono una servitù reciproca: Cass. n. 3749/99; Cass. n. 14898/13.
* L’opponibilità ai terzi delle clausole limitative impongono la loro descrizione nella nota di trascrizione: Cass. nn. 17493/14 e 7515/86.
* Divieto di adibire l’immobile a residence: Cass. 27 marzo 2015, n. 6299.