Far pagare di più a chi possiede di più. In una sintesi molto estrema, è questo il succo della proposta alternativa alla semplice abolizione di Tasi ed Imu formulata dal “Nens – Nuova Economia Nuova Società”, l’associazione fondata nel 2001da Pier Luigi Bersani e Vincenzo Visco, insieme con Nicola Rossi, Giulio Sapelli, Giuseppe Farina e Paolo Ferro Luzzi.
I tre obiettivi della proposta per una nuova fiscalità sono:
* semplificazione, riduzione e razionalizzazione delle imposte sugli immobili;
* recupero di maggiore equità nella distribuzione del prelievo;
* recupero di efficienza.
Quanto, invece, agli strumenti per raggiungere tali obiettivi, l’associazione propone l’accorpamento delle imposte esistenti (in modo da semplificare e rendere trasparenti le procedure per contribuenti), la razionalizzazione delle basi imponibili,
la riforma delle aliquote,
la cancellazione delle imposte sugli affitti (Irpef e cedolare secca), la
trasformazione delle imposte di registro, ipotecarie e catastali da prelievo percentuale in tassa fissa, ottenendone una sostanziale eliminazione, la
modifica dell’imposta di successione lasciando inalterate le attuali soglie esenti e, infine, l’
introduzione di un’imposta progressiva su base familiare sui patrimoni immobiliari più consistenti.
Sommando gli effetti sul prelievo erariale e sul prelievo locale, si raggiungerebbe una riduzione del prelievo totale pari a 7,5 miliardi di euro.
Secondo SESecondo Nens, la potenziale detassazione della prima casa rappresenta una forzatura del sistema di tassazione: le prime case infatti non sono tutte uguali. C’è la casa popolare e la grande villa, la condizione economica degli affittuari è (spesso) peggiore di quella di chi è proprietario della casa di abitazione e i giovani hanno meno prime casa in proprietà rispetto agli anziani. Il rischio è di detassare i contribuenti più ricchi. Al contrario, può essere giusto (pratico) prevedere un’esenzione per le abitazioni di minor valore, ma non per tutte le prime case.
Peraltro, occorre osservare che in tutta l’area OECD le case d’abitazione sono tassate nell’ambito della finanza locale. La scelta di affidare agli enti decentrati una forma di imposizione sugli immobili (incluse le abitazioni principali) trova sostegno nella letteratura sul federalismo fiscale (visibilità del prelievo, accountability degli amministratori locali e responsabilizzazione per la gestione efficiente della spesa).
D’altra parte, i valori degli immobili sono un appropriato indicatore per i Comuni:
* se i governi locali sono responsabili della tassazione immobiliare, sono incentivati a fornire servizi pubblici in modo più efficace ed efficiente perché questo tende ad accrescere le loro entrate;
* la qualità dell’amministrazione locale e gli investimenti da essi effettuati si riflettono sul valore degli immobili;
* la tassazione immobiliare contribuisce alla disciplina di bilancio dei governi locali, in quanto risulta “visibile” agli elettori, che possono tenerne conto al momento del voto o al momento di scegliere dove risiedere (vedo, voto, pago).
Ciò vale ovviamente per la casa dove abita il proprietario, che riceve un reddito in natura, già esente dall’imposizione sul reddito.
Af DAffrontando invece il delicato tema del catasto, il duo Visco Bersani sottolinea come, in teoria, i valori che risultano dalle rendite catastali dovrebbero riflettere il valore medio dell’immobile in un arco temporale di alcuni anni. Nei fatti, invece, le rendite catastali, rivalutate da ultimo nel 1989, non solo sono distanti dai veri valori di mercato, ma lo sono in maniera non uniforme tra territori e tipologie abitative.
Con l’introduzione dell’IMU, i valori patrimoniali su cui si basano le imposte immobiliari sono aumentati in modo proporzionale e il moltiplicatore applicato alle rendite è stato aumentato da 100 a 160. L’aumento proporzionale dei moltiplicatori lascia inalterati tutti gli squilibri rispetto ai valori di mercato. . Mediamente, negli ultimi anni (dopo l’introduzione dell’IMU/TASI), il rapporto medio tra valori di mercato e valori catastali è leggermente superiore a 2. Il rapporto sale a 4 o 5 per gli immobili più vecchi e scende a 1 (o volte anche sotto 1) per quelli nuovi.
Ciò comporta effetti negativi in termini di equità orizzontale perché i contribuenti subiscono prelievi differenziati in relazione alle sperequazioni territoriali delle basi imponibili, equità verticale perché il differenziale tra i valori effettivi di mercato e quelli calcolati sulla base di rendite catastali e moltiplicatori tende ad aumentare per i proprietari più ricchi. E, da ultimo, in termini di efficienza: un prelievo commisurato alla rendita edilizia risulta più efficiente di un’imposta sul reddito o sul consumo e tiene conto delle rendite di posizione.
Ora, un modo per tassare il patrimonio immobiliare in maniera davvero proporzionale al valore è quello di stimare la base imponibile ai valori di mercato, sia quando crescono che quando calano. Per raggiungere l’obiettivo, una strada è la riforma del catasto. Nell’immediato, l’altra strada è quella che fa riferimento ai valori per tipologia dell’immobile e zone omogenee rilevati dall’Osservatorio sul mercato immobiliare (Omi) curato dall’Agenzia delle Entrate, e utilizzandoli come parametri utili alla rivalutazione (differenziata) dei moltiplicatori.
TASSE E COMUNI
In ogni Comune la maggioranza degli immobili è costituita dalle abitazioni dove vivono i proprietari. Una quota di cittadini del Comune sono proprietari anche di altri immobili. Un’altra parte di immobili (seconde case) sono invece di proprietà di persone che risiedono in un altro Comune.
Attualmente la pratica dei Comuni è quella di aumentare l’imposizione sugli immobili non residenziali e sulle seconde case e ridurre quella sulle “prime case”. Gli effetti distorsivi di questa tendenza sono però evidenti: essere proprietari di una casa ma spostare la residenza in un’altra (ad es. presa in affitto per cambio lavoro) porta ad aggravi fiscali, o a sotterfugi legali (ad es. l’uso strategico della residenza). La stessa cosa si verifica quando i coniugi dividono la residenza. Peraltro, i non residenti non votano (Comuni turistici e comuni interessati da fenomeni migratori).
In questo quadro, si aggiungono ulteriori complessità, a partire dal fatto che oggi esistono più soggetti impositori (Stato e Comuni) sulle stesse basi imponibili dell’IMU.
Lo Stato si riserva circa 4 miliardi di gettito dell’IMU sugli immobili produttivi (capannoni industriali). Sempre lo Stato fissa l’aliquota standard del prelievo IMU (al 7,6 per mille) e TASI (all’1 per mille). Per la TASI, i Comuni decidono esenzioni, riduzioni del prelievo e detrazioni e possono aumentare l’aliquota di base (fino al 2,5 per mille nel 2014 per le prime case; fino al limite di 10,6 per mille complessivamente per IMU+TASI sulle seconde case e su immobili produttivi e commerciali). Non tutti i Comuni, però, hanno applicato le detrazioni TASI (sulla prima casa) che erano previste centralmente per l’IMU (200 euro fisse e 50 euro per ogni figlio minore di 26 anni): quindi anche i proprietari di case di modesto valore (popolari) hanno pagato.
Ma c’è di più. Le molteplici scadenze di versamento (e la giungla di aliquote, detrazioni e agevolazioni) e i ritardi nelle delibere dei Comuni fanno aumentare i costi di compliance per i contribuenti.
La prima cosa utile sarebbe, dunque, un sistema più semplice e razionale, che separi prelievi e basi imponibili di Stato e Comuni.
Comuni
*Un’unica imposta locale immobiliare, su valori vicini a quelli di mercato e aliquote basse (con esenzione di circa un terzo delle abitazioni – prima casa – nei comuni).
* Trasformazione delle addizionali regionali e comunali in sovra-imposte, eliminando alcune incongruenze esistenti ed accentuando la progressività.
Stato
* Imposta personale progressiva sul patrimonio immobiliare (basi imponibili valutate a valori di mercato, ma con franchigia e aliquote basse in modo da esentare di fatto i patrimoni di valore medio e di ottenere un prelievo moderato su quelli di valore medio-alto) per conseguire una corretta progressività eliminando la discriminazione per le seconde case che poco ha a che fare con la progressività.
* Riduzione del peso fiscale sui trasferimenti immobiliari, trasformando le imposte di registro, ipotecarie e catastali in tasse fisse.
* Abolizione dell’Irpef e della cedolare secca sugli affitti.
* Revisione delle altre imposte statali.
* Un sistema equo ed efficiente semplifica il prelievo, persegue una corretta progressività e riduce la pressione fiscale complessiva.