LA LEGITTIMAZIONE ATTIVA E PASSIVA DELL’AMMINISTRATORE A STARE IN GIUDIZIO
[A cura di: prof. avv. Rodolfo Cusano]
Il problema della legittimazione dell’amministratore a stare in giudizio senza la ratifica assembleare nelle cause di impugnativa delle delibere assembleari affligge prima gli amministratori per la loro responsabilità, ma anche gli avvocati che hanno l’obbligo di avvertire il cliente della necessità o meno di portare la citazione per l’impugnativa all’attenzione dell’assemblea ed ottenere la ratifica del mandato qualora necessario. Anche se occorre ricordare che, in seguito all’introduzione dell’obbligo preventivo di mediazione, l’amministratore deve comunque portare all’attenzione dell’assemblea l’istanza di mediazione ed ottenere o meno l’autorizzazione a costituirsi nella relativa procedura con l’assistenza dell’avvocato. Tale adempimento preventivo potrebbe essere, quindi, utilizzato per risolvere a monte il problema, richiedendo contemporaneamente all’assemblea anche l’autorizzazione a costituirsi nel successivo giudizio.
Il problema si incentra sulla corretta interpretazione del dettato di cui all’art. 1131 c.c.
ART. 1131 C.C.
Nei limiti delle attribuzioni stabilite dall’articolo 1130 o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall’assemblea, l’amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condòmini sia contro i terzi.
Può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio; a lui sono notificati i provvedimenti dell’autorità amministrativa che si riferiscono allo stesso oggetto.
Qualora la citazione o il provvedimento abbia un contenuto che esorbita dalle attribuzioni dell’amministratore, questi è tenuto a darne senza indugio notizia all’assemblea dei condòmini.
L’amministratore che non adempie a quest’obbligo può essere revocato ed è tenuto al risarcimento dei danni.
Commento
L’articolo 75, ultimo comma, c.p.c. prevede che “Le persone giuridiche stanno in giudizio per mezzo di chi le rappresenta a norma della legge o dello statuto. Le associazioni e i comitati, che non sono persone giuridiche, stanno in giudizio per mezzo delle persone indicate negli articoli 36 e seguenti del codice civile”. Tale norma non prevede la figura dell’amministratore del condominio cui la rappresentanza del condominio è, invece, attribuita ex articolo 1131 c.c.
È, infatti, proprio l’articolo 1131 c.c., come modificato dalla L. 220/2012, a stabilire che: “Nei limiti delle attribuzioni stabilite dall’articolo 1130, o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall’assemblea, l’amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condòmini sia contro i terzi”. L’articolo è da considerarsi inderogabile in virtù dell’espressa previsione di cui all’articolo 1138, quarto comma, sicché né l’assemblea dei condòmini, né il regolamento di condominio potrebbero legittimamente ridurre i poteri di rappresentanza attribuiti all’amministratore dalla legge.
Secondo la giurisprudenza, ricorrerebbe nella fattispecie un’ipotesi di rappresentanza volontaria originata dal mandato conferito all’amministratore dal condominio. La dottrina, invece, è divisa: per alcuni la rappresentanza è legale perché ha fonte nella legge; per altri è volontaria in quanto fondata sul mandato; per altri ancora non è né legale né volontaria, trattandosi piuttosto di un rapporto sui generis; per chi, infine, qualifica l’amministratore come organo del condominio, trattasi di rappresentanza organica.
La legittimazione attiva ex art. 1131, I comma, c.c.
In ogni caso, l’amministratore del condominio è dunque legittimato, senza la necessità di una specifica deliberazione assembleare, ad agire in giudizio nei confronti dei singoli condòmini e dei terzi al fine di:
a) eseguire le deliberazioni dell’assemblea dei condòmini;
b) disciplinare l’uso delle cose comuni così da assicurare il godimento a tutti i partecipanti al condominio;
c) riscuotere dai condòmini i contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea;
d) compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio
La legittimazione passiva ex art. 1131, II e III comma, c.c.
Fino a poco tempo fa, e cioè prima di Cass. SS.UU. nn. 18331 e 18332/2010, era ritenuto che la rappresentanza processuale dell’amministratore del condominio dal lato passivo non incontrasse limiti. Ciò stava a significare che l’amministratore non necessitava di alcuna autorizzazione dell’assemblea per resistere in giudizio e per proporre le impugnazioni che si rendessero necessarie.
Per cui la rappresentanza processuale dell’amministratore del condominio, mentre dal lato attivo coincideva con i limiti delle sue attribuzioni, salvi i maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall’assemblea, dal lato passivo non incontrava limiti. La stessa inosservanza dell’obbligo di informare i condòmini della esistenza di un procedimento contro il condominio aveva rilevanza puramente interna senza incidere sui poteri di rappresentanza processuale dell’amministratore stesso.
A questo indirizzo maggioritario se ne contrapponeva un altro secondo cui la ratio dell’articolo 1131 c.c., comma 2, – che consente di convenire in giudizio l’amministratore del condominio per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio – era quella di favorire il terzo il quale voglia iniziare un giudizio nei confronti del condominio, consentendogli di poter notificare la citazione al solo amministratore anziché a tutti i condòmini. Nulla, invece, nella stessa norma, giustificava la conclusione secondo cui l’amministratore sarebbe anche legittimato a resistere in giudizio e a impugnare senza essere a tanto autorizzato dall’assemblea .
Inoltre, secondo tale indirizzo, poiché l’autorizzazione dell’assemblea a resistere in giudizio in sostanza altro non è che un mandato all’amministratore a conferire la procura ad litem al difensore che la stessa assemblea ha il potere di nominare, l’amministratore, in definitiva, non svolge che una funzione di mero nuncius e tale autorizzazione non può valere che per il grado di giudizio in relazione al quale viene rilasciata. Deriva, da quanto precede, pertanto, che era inammissibile il ricorso per cassazione, avverso sentenza sfavorevole al condominio, proposto dall’amministratore senza espressa autorizzazione dell’assemblea .
A comporre tale contrasto sono intervenute le Sezioni Unite della Suprema Corte, con le sentenze del 2010 già citate, le quali hanno ritenuto che (così come dal lato attivo) la norma abilita l’amministratore del condominio, relativamente alle liti passive, a costituirsi in giudizio e ad impugnare la sentenza eventualmente sfavorevole, senza necessità di autorizzazione da parte dell’assemblea, soltanto se l’oggetto della controversia è compreso nei limiti delle sue attribuzioni, limiti ed attribuzioni previsti dall’articolo 1130 c.c. Mentre hanno pure rilevato che, qualora il Giudice adito ritenga versarsi in materia sottratta ai poteri dell’amministratore, possa ordinare il deposito della ratifica del mandato ex art. 182 comma 2 c.p.c., ma non è questo il caso in esame.
Per completezza di disamina occorre pure rilevare che, a distanza di appena due mesi dalle ricordate sentenze n. 18331 e 18332/2010, la stessa Corte di Cassazione è ritornata sui suoi passi più volte e ha riaffermato che la legittimazione passiva dell’amministratore non incontra limiti e sussiste anche in ordine alle azioni di natura reale relative alle parti comuni dell’edificio, promosse contro il condominio da terzi o anche dal singolo condomino (Cass. sentenza del 4-10-2012, n. 16901).
Comunque, il dubbio se il compito di eseguire le deliberazioni dell’assemblea dei condòmini, che è demandato dall’articolo 1130 c.c., n. 1) all’amministratore, includa, in ipotesi, anche quello di propugnarne in giudizio la legittimità, quale che sia il loro oggetto così come previsto dall’art. 1131 II e II comma, può ritenersi non più sussistente.
Infatti, non solo la stessa Suprema Corte con le famose sentenze del 2010 rese a SS.UU. ha stabilito che il limite della legittimazione passiva dell’amministratore è stabilito proprio dai poteri di cui all’art. 1130 c.c. tra cui rientra appunto l’esecuzione delle delibere assembleari, per cui il dato letterale è talmente chiaro da non permettere diverse interpretazioni, ma anche tutta la giurisprudenza successiva è conforme a tale indirizzo.
Da ultimo, la recentissima sentenza del 16 febbraio 2017 n. 4183 della Corte di Cassazione, testualmente: “In tema di impugnativa di delibere assembleari relative all’individuazione del criterio di ripartizione delle spese, per proporre appello non occorre alcuna autorizzazione assembleare ai sensi dell’art. 1130 n. 1 e 3 c.c., in quanto tali controversie rientrano nelle normali attribuzioni dell’amministratore di condominio”.
Per completezza di informazione si riporta testualmente il ragionamento della Suprema Corte.
LA CASSAZIONE
In base al disposto degli articoli 1130 e 1131 c.c., l’amministratore del condominio è legittimato ad agire in giudizio per l’esecuzione di una deliberazione assembleare o per resistere all’impugnazione della delibera stessa da parte del condomino senza necessità di una specifica autorizzazione assembleare, trattandosi di una controversia che rientra nelle sue normali attribuzioni, con la conseguenza che in tali casi egli neppure deve premunirsi di alcuna autorizzazione dell’assemblea per proporre le impugnazioni nel caso di soccombenza del condominio (Cass. 15 maggio 1998 n. 4900; Cass. 20 aprile 2005 n. 8286). A questa conclusione non è di ostacolo il principio, enunciato dalle Sezioni Unite (sentenza 6 agosto 2010 n. 18331), secondo cui l’amministratore del condominio, potendo essere convenuto nei giudizi relativi alle parti comuni ma essendo tenuto a dare senza indugio notizia all’assemblea della citazione e del provvedimento che esorbiti dai suoi poteri, ai sensi dell’articolo 1131 c.c., commi 2 e 3, può bensì costituirsi in giudizio e impugnare la sentenza sfavorevole senza la preventiva autorizzazione dell’assemblea, ma deve, in tale ipotesi, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell’assemblea stessa, per evitare la pronuncia di inammissibilità dell’atto di costituzione ovvero di impugnazione. L’ambito applicativo del dictum delle Sezioni Unite – con la regola, da esse esplicitata, della necessità dell’autorizzazione assembleare, sia pure in sede di successiva ratifica – si riferisce, espressamente, a quei giudizi che esorbitano dai poteri dell’amministratore ai sensi dell’articolo 1131 c.c., commi 2 e 3. Ma non è questo il caso di specie, posto che eseguire le deliberazioni dell’assemblea e difendere le stesse dalle impugnative giudiziali del singolo condomino rientra nelle attribuzioni proprie dell’amministratore.
In siffatta direzione è indirizzata la giurisprudenza (Cass. 25 ottobre 2010 n. 21841), quando riconosce che l’amministratore di condominio, essendo tenuto a curare l’osservanza del regolamento di condominio (articolo 1130 c.c., comma 1, n. 1), è legittimato ad agire e a resistere in giudizio per ottenere che un condomino non adibisca la propria unità immobiliare ad attività vietata dal regolamento condominiale contrattuale, senza la necessità di una specifica deliberazione assembleare assunta con la maggioranza prevista dall’articolo 1136 c.c., comma 2, la quale è richiesta soltanto per le liti attive e passive esorbitanti dalle incombenze proprie dell’amministratore stesso.
Pur non essendo mancato un orientamento di segno diverso, per avere talora ritenuto, sulla scorta di una lettura ampia della pronuncia delle Sezioni Unite, che, anche nell’ambito della propria sfera di competenza, l’amministratore debba premunirsi di apposita autorizzazione dell’assemblea, avendo, in mancanza, l’onere di far ratificare il proprio operato dall’assemblea, pena la inammissibilità della costituzione da lui autonomamente effettuata, o la inammissibilità dell’impugnazione da lui proposta: e cosi – in controversia riguardante l’impugnazione di delibera assembleare da parte del condomino – si è assegnato (cfr. Cass. 25 febbraio 2011 n. 4733) un termine al condominio controricorrente, ai sensi dell’articolo 182 c.p.c., comma 2, al fine di consentirgli la produzione dell’autorizzazione dell’assemblea, considerata necessaria per la valida costituzione del condominio stesso.
Il Collegio è invece dell’avviso che, nella propria sfera di competenze (ordinarie o incrementate dall’assemblea), l’amministratore è munito di poteri di rappresentanza processuale ad agire e resistere senza necessità di alcuna autorizzazione. Sarebbe, infatti, veramente defatigatorio, nell’ottica di un assurdo “iperassemblearismo”, che l’amministratore fosse costretto a convocare ogni volta i condòmini al fine di ottenere il nulla osta, ad esempio, per agire o resistere al monitorio sul pagamento degli oneri condominiali, o al giudizio per far osservare il regolamento, o all’impugnativa di una statuizione assembleare, oppure al fine di sperare nella ratifica riguardo ad un procedimento cautelare volto a conservare le parti comuni dello stabile (v. in termini Cass. 23 gennaio 2014 n. 1451).
GIURISPRUDENZA
1. Cassazione civile sez. III del 06/05/2015, n. 8998 – Amministratore, attribuzioni e provvedimenti.
In tema di controversie condominiali, la legittimazione dell’amministratore del condominio dal lato attivo coincide con i limiti delle sue attribuzioni (art. 1131 c.c.), mentre dal lato passivo non incontra limiti e sussiste in ordine ad ogni azione, anche di carattere reale o possessorio, concernente le parti comuni dell’edificio. In tale contesto l’amministratore ha la facoltà di proporre tutti i gravami che successivamente si rendano necessari in conseguenza della vocatio in ius.
2. Cassazione civile sez. II del 23/04/2015, n. 8309 – Legittimazione dell’amministratore.
In tema di legittimazione processuale del condominio, l’amministratore può resistere all’impugnazione della delibera assembleare e può gravare la relativa decisione del giudice, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell’assemblea, giacché l’esecuzione e la difesa delle deliberazioni assembleari rientrano fra le attribuzioni proprie dello stesso, nell’esercizio delle sue funzioni (fattispecie relativa all’impugnazione di una delibera nella parte in cui veniva approvata l’esecuzione dei lavori di manutenzione del tetto di copertura).
3. Cassazione penale sez. IV del 12/12/2014, n. 3320 – Legittimazione all’azione civile.
L’amministratore di condominio può esercitare nel giudizio penale l’azione civile per il risarcimento dei danni subiti dal condominio, senza che sia all’uopo necessario uno specifico mandato assembleare, giacché egli è titolare ex lege di un potere rappresentativo comprendente tutte le azioni volte a realizzare la tutela dei diritti sulle parti comuni dell’edificio.
4. Cassazione civile sez. II del 04/12/2014, n. 25634 – Legittimazione dell’amministratore.
In tema di azioni giudiziali nelle quali il condominio è convenuto in giudizio, la legittimazione a resistere dell’amministratore non incontra limiti, sicché deve considerarsi correttamente instaurato il contradditorio anche se l’attore o opponente nel giudizio per opposizione a decreto ingiuntivo, in via riconvenzionale, propongano domanda di accertamento della proprietà di una parte dell’edificio.
5. Cassazione civile sez. II del 22/09/2014, n. 19909 – Legittimazione dell’amministratore.
Ai sensi dell’art. 1131, comma 2, c.c., la legittimazione passiva dell’amministratore del condominio a resistere in giudizio ha portata generale in quanto estesa ad ogni interesse condominiale e sussiste, pertanto, anche un ordine ad azioni di natura reale relative alle parti comuni dell’edificio, promosse contro il condominio, senza che sia necessaria la partecipazione al giudizio di tutti i condòmini.
6. Cassazione civile sez. II del 23/01/2014, n. 1451 – Legittimazione dell’amministratore a resistere all’impugnazione della delibera assembleare e a gravare la sentenza – Sussistenza – Autonomia – Fondamento.
In tema di condominio negli edifici, l’amministratore può resistere all’impugnazione della delibera assembleare e può gravare la relativa decisione del giudice, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell’assemblea, giacché l’esecuzione e la difesa delle deliberazioni assembleari rientra fra le attribuzioni proprie dello stesso.