Il Tribunale della libertà
rigettava la richiesta di riesame proposta nei confronti del decreto di
sequestro preventivo emesso dal Gip, finalizzato alla confisca per un importo
equivalente al reato di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi e
Iva, di cui all’articolo 5 del Dlgs 74/2000, con evasione superiore, con
riferimento a taluna delle singole imposte, a 30mila euro.
Il legale rappresentate dell’ente
aveva sostenuto l’illegittimità del provvedimento cautelare in danno alla
fondazione, ritenendo la mancanza del fumus
commissi delicti del reato
ipotizzato. Di diverso avviso il Tribunale del riesame, che ha confermato la
misura cautelare alla luce di quanto emerso dalle indagini della Guardia di
finanza. Infatti, dalla verifica fiscale presso la fondazione era emerso lo
svolgimento di un’attività commerciale alberghiera in favore di turisti
italiani e stranieri, e i relativi ricavi, per gli anni in contestazione, erano
risultati “preponderanti rispetto all’attività istituzionale (colonie, attività
formativa svolta in forza della titolarità diretta di istituti scolastici
paritari)”.
Con unico motivo l’imputato
ricorre per cassazione, tentando di smontare l’impianto accusatorio
dell’ordinanza impugnata, con la sottolineatura che le attività svolte
dall’ente erano eterogenee e, soprattutto, che quella alberghiera rientrava nei
fini istituzionali. In particolare, il ricorrente lamenta violazione della
legge penale (articolo 321, comma 2, cpp) e di quella fiscale (articolo 149 del
Dpr 917/1986: perdita della qualifica di ente non commerciale), sul rilievo
che, per il periodo d’imposta in contestazione, fosse stata proprio la Guardia
di finanza a escludere che la fondazione avesse perso il requisito della “non
commercialità”, con la conseguenza che i corrispettivi specifici ricevuti per
le prestazioni di natura non commerciale dovessero essere ritenuti prevalenti
rispetto al valore normale delle restanti prestazioni. Inoltre, l’imputato
osserva che, anche in materia di Iva, le operazioni svolte dall’ente
nell’ambito della propria attività istituzionale restano estranee al campo di
applicazione dell’imposta.
Decidendo la vertenza, la
Cassazione rigetta il ricorso, affermando che scatta il sequestro per la
presunta evasione fiscale a carico del vertice della fondazione che svolge,
oltre ai consueti compiti istituzionali, anche attività commerciali non
fatturate. Un procedimento, quello del Tribunale della libertà, assolutamente
corretto, spiega la Corte suprema, considerato che nella specie si è fatto
“buon governo” dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in
materia, anche rispetto al profilo del superamento della soglia di punibilità
di cui all’articolo 5 del Dlgs 74/2000 (vedi Cassazione, sezioni unite,
10561/2014), confermando la confisca diretta o in forma specifica sui beni
della fondazione (beneficiaria del risparmio di spesa conseguente
all’evasione).
Sul punto, il giudice di
legittimità ha chiarito che le investigazioni hanno avuto a oggetto un ente
(fondazione) che non ha perso il requisito della “non commercialità” (articolo
149 del Tuir), pur avendo svolto attività di natura commerciale. Ad avviso del
Collegio giudicante, in base ai principi che presidiano la materia, il
carattere commerciale dell’attività si evidenzia in modo oggettivo, a
prescindere dalla natura dell’ente, dalla destinazione degli utili e dalla
totale assenza di finalità lucrative. Infatti, per “esercizio di imprese” si
intende, sia ai fini Ires (articolo 55 del Tuir) sia ai fini Iva (articolo 4,
primo comma, Dpr 633/1972), “l’esercizio per professione abituale, ancorché non
esclusiva”, delle attività commerciali di cui all’articolo 2195 del codice
civile, anche se non organizzate in forma d’impresa, nonché l’esercizio di
attività, organizzate in forma di impresa, dirette alla prestazione di servizi
che non rientrano nell’articolo 2195 del codice civile.
Peraltro, l’articolo 39 del Dpr
600/1973 dispone che l’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di
passività dichiarate è desumibile sulla base di presunzioni semplici, purché
queste siano gravi, precise e concordanti (Cassazione 40992/2013).
Inoltre, qualora
l’Amministrazione finanziaria contesti indebite detrazioni di Iva e deduzioni
di costi fatturati, fornendo elementi, anche semplicemente presuntivi, purché
oggettivi, atti ad asseverare l’emissione di fatture in assoluta assenza di
corrispondente prestazione, è onere del contribuente che rivendichi la
legittimità della deduzione degli esborsi fatturati e quella della detrazione
dell’Iva correlativamente indicata, fornire la prova dell’effettiva esistenza
delle operazioni (cfr. Cassazione
23325/2013).