[A cura di: Corrado Sforza Fogliani – presidente Centro studi Confedilizia]
Circa il compenso dell’amministratore di condominio è ormai noto che, chi svolge tale attività, deve, ora, portare a conoscenza dell’assemblea (affinché l’accetti), in sede di conferimento (o di rinnovo) dell’incarico, la retribuzione richiesta, sia per le competenze relative a prestazioni di carattere ordinario sia per quelle relative ad attività di natura straordinaria. E questo, a seguito della riscrittura, ad opera della legge di riforma (l. n. 220/2012), dell’art. 1129 cod. civ., secondo cui l’amministratore, “all’atto dell’accettazione della nomina e del suo rinnovo deve specificare analiticamente” l’importo dovuto a titolo di compenso; pena: la “nullità della nomina stessa”.
Ciò posto, è altrettanto importante sottolineare l’importanza di definire in sede assembleare la periodicità con cui l’amministratore possa incassare il proprio compenso. Infatti, in assenza di una decisione sul punto (oppure di una norma del regolamento che tratti della questione), deve ritenersi – anche sulla base della disciplina sul mandato, alla quale lo stesso art. 1129 cod. civ. rimanda per regolare i rapporti tra condòmini e amministrazione condominiale (e da cui non emerge, salvo naturalmente diverso accordo tra le parti, la possibilità di un pagamento frazionato del compenso concordato) – che l’amministratore non possa percepire quanto convenuto se non alla scadenza (annuale) dell’incarico. Con l’effetto che eventuali incassi in corso di mandato potrebbero essere ritenuti illegittimi e quindi causare all’interessato problemi di vario genere (anche di natura penale). Problemi che, necessariamente, si proietterebbero sulla compagine condominiale, la quale verrebbe ad essere coinvolta in complessi quanto delicati contenziosi.