[A cura di: avvocato Gian Vincenzo Tortorici – pres. Centro studi Anaci]
Il legislatore del 1942, introducendo, con l’art. 1117 codice civile, la materia del condominio, non ne specifica la natura, né vi ha provveduto il legislatore del 2012 con la legge 11 dicembre 2012, n. 220, mentre la giurisprudenza lo ha ritenuto un mero ente di gestione delle cose comuni, sprovvisto di personalità giuridica, seppure recentemente gli sia stata riconosciuta una soggettività giuridica (Cass. civ., Sezz. Unite, 18 settembre 2014, n. 19663).
Il precitato articolo 1117 indica soltanto i beni condominiali che, si presumono, comuni a tutti i partecipanti al condominio, ben potendo una parte, però, essere di proprietà esclusiva di un singolo (per esempio, una chiostra interna al condominio). In ogni caso si tratta di una rilevante specificazione che costituisce la base di valutazione dei beni, strutturali e tecnologici, e dei servizi sia da parte degli stessi condòmini sia da parte dell’amministratore del condominio, per stabilirne la condominialità o meno. Su tale presupposto, infatti, si fondano le disposizioni di tutti i successivi articoli dello stesso codice civile, compresi quelli delle sue disposizioni di attuazione, e di tutte le leggi speciali in materia.
L’art. 1117 codice civile, dunque, si limita a elencare i beni che si presumono di proprietà comune in relazione alla loro oggettiva funzione e al loro concreto collegamento strutturale con le unità immobiliari di proprietà esclusiva, anche se tale elenco non abbia natura tassativa ma solo ricognitiva (Cass. civ., Sez. II, 5 marzo 2015, n. 4501).
Nel condominio vi possono essere parti e impianti che servono esclusivamente alcuni condòmini e non altri, come le scale e i cortili installati in edifici a plurima composizione; in questi casi, i beni si presumono comuni ai soli condòmini che ne godono e che li utilizzano (Cass. civ., Sez. II, 5 maggio 2016, n. 9035).
Considerato che tutti i beni comuni sono collegati strutturalmente e funzionalmente alle unità di proprietà esclusiva e sono a queste strumentali, ne consegue che tutti i condòmini devono provvedere alla loro conservazione e, se del caso, al loro miglioramento, con particolare riferimento all’uso e al godimento dei medesimi. La relativa contribuzione è fondata sulla contitolarità della proprietà dei beni condominiali e l’obbligazione che ne deriva è una obbligatio proter rem, alla quale nessuno può sottrarsi ai sensi dell’art. 1118 codice civile.
RIPARTIZIONE DELLE SPESE
Le spese, e il correlato riparto tra i condòmini in forza del valore della quota millesimale di ciascuno, sono disciplinate dall’art. 1123 codice civile. Va, innanzitutto, ribadito che quest’ultimo articolo è un articolo derogabile e pertanto il criterio indicato può essere sostituito con un altro, purché deliberato e accettato dall’intera compagine condominiale.
Se, viceversa, una clausola contrattuale del regolamento allegato ai contratti di compravendita o approvato in assemblea da tutti i partecipanti al condominio e dagli stessi sottoscritto, non prospetta un criterio derogativo di quello stabilito dall’art. 1123 codice civile, i condòmini e l’amministratore devono attenersi a questo.
Con il primo comma di questo articolo, il legislatore ha determinato le modalità di ripartizione delle spese che ineriscono alla conservazione delle parti comuni e alla prestazione dei servizi a favore dei condòmini. Le spese che riguardano la conservazione dei beni condominiali sono relative al loro ripristino al fine di garantirne l’uso costante e la funzione strutturale permanente.
LE MAGGIORANZE
L’approvazione delle spese e del relativo riparto, sia per quanto attiene a quelle preventivate, sia per quanto attiene a quelle a consuntivo, deve avvenire in assemblea con una delibera assunta dalla maggioranza degli intervenuti, rappresentanti almeno un terzo del valore millesimale dell’edificio condominiale, seppure per le sole spese concernenti la manutenzione ordinaria dei beni comuni e l’esercizio dei servizi condominiali; per le spese inerenti alla manutenzione straordinaria di notevole entità delle cose comuni, la delibera deve essere adottata dalla maggioranza degli intervenuti in assemblea rappresentante almeno la metà del valore millesimale dello stabile condominiale, eccettuate specifiche fattispecie inerenti, tra l’altro, alla normativa concernente il risparmio energetico. Tuttavia, in caso di vendita di una unità immobiliare, se nel condominio siano stati deliberati lavori di manutenzione straordinaria, è tenuto a sopportarne i costi chi era proprietario dell’immobile al momento dell’adozione della delibera assembleare, avendo tale delibera valore costitutivo della relativa obbligazione (Cass. civ., Sez. II, 10 aprile 2013, n. 8782).
Viceversa, per quanto attiene alle spese di manutenzione ordinaria, queste hanno il loro momento costitutivo nell’esecuzione degli interventi programmati o resisi necessari nelle more della gestione, mentre le spese straordinarie nella data della delibera che li ha approvati.
La manutenzione straordinaria inerisce, tra l’altro, alle opere necessarie per rinnovare, sostituire e integrare parti degli impianti tecnologici (Cons. Stato, Sez. V, 14 aprile 2016, n. 1510).
SOLIDARIETÀ
Come è noto, l’art. 63 disp. att. codice civile, inerisce alla responsabilità solidale tra acquirente e alienante sino a che non sia inviata copia autentica del contratto di compravendita all’amministratore. La necessità della trasmissione è incomprensibile, considerato che sarebbe stato sufficiente una dichiarazione ad hoc del notaio rogante.
Si deve, altresì, osservare come la suddetta solidarietà inerisca, esclusivamente, alla gestione in corso al momento dell’atto di compravendita e a quella immediatamente precedente; nulla rileva la circostanza che l’amministratore abbia indicato nel riparto consuntivo anche il debito delle gestioni precedenti, che rimane ad esclusivo carico dell’alienante. Inoltre tale norma vale solo per la successione di proprietà inter vivos, in quanto la successione mortis causa determina l’addebito dell’intera somma dovuta dal de cuius a tutti i suoi eredi poiché questi subentrano, a titolo universale, nella identica posizione giuridica ed economica del loro dante causa, sempre che non abbiano rinunciato all’eredità o l’abbiano accettata con beneficio d’inventario.
I soggetti obbligati al pagamento sono gli effettivi titolari dei diritti reali delle singole unità immobiliari, costituenti il condominio; i nudi proprietari devono pagare le spese per la manutenzione straordinaria delle parti e degli impianti comuni, mentre gli usufruttuari, così come i titolari dei diritti di uso e di abitazione, ai quali si applica la normativa inerente all’usufrutto ex art. 1026 codice civile, devono pagare le spese della gestione amministrativa ordinaria; la ripartizione tra costoro deve essere specificata nel riparto preventivo e consuntivo allegati al rendiconto annuale. Il nudo proprietario è solidamente responsabile con l’usufruttuario per l’eventuale morosità di questi e viceversa in forza dell’ultimo comma del novellato art. 67 disp. att. codice civile.
Il secondo e il terzo comma dell’art. 1123 codice civile, apparentemente sembrano stabilire il medesimo principio. Viceversa, il legislatore ha voluto individuare due differenti fattispecie.
IL GODIMENTO
Con il secondo comma il legislatore ha disciplinato il godimento, da parte di ciascun condomino, dei beni comuni, affinché la spesa relativa, addebitabile a questi, sia proporzionata all’uso che del bene il singolo effettua. Le ipotesi più frequenti sono rappresentate dall’uso dell’ascensore per chi abita i piani alti dello stabile o dall’uso dell’impianto di riscaldamento dovuto all’inserimento negli appartamenti, ad esempio, siti all’ultimo piano dello stabile, di un maggior numero di elementi radianti.
Considerato che alcuni condòmini effettuano un più intenso uso di una parte o di un impianto, logorano la struttura e/o determinano un più frequente servizio manutentivo, sono chiamati a pagare una quota di spesa superiore agli altri. Il concetto di uso del bene si riferisce a un suo uso potenziale e astratto e non al suo godimento effettivo, che il singolo, per sua scelta, può trarne (App. Ancona 29 marzo 2016, in Leggi d’Italia).
Per questo motivo è opportuno che in ogni condominio unitamente alla tabella dei millesimi di proprietà, sussistano le tabelle di gestione relative, ad esempio, al servizio di portierato, alla manutenzione del giardino, al consumo dell’acqua, all’uso dell’ascensore, all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento.
CONDOMINIO PARZIALE
Il terzo comma dell’art. 1123 codice civile, introduce il concetto del così detto condominio parziale basato sulla delimitazione dell’appartenenza di un determinato bene soltanto a un gruppo di condòmini con esclusione degli altri; si pensi, ad esempio, a una chiostra che fornisca aria e luce soltanto ad alcuni appartamenti, ma non a tutti quelli che costituiscono l’edificio condominiale.
Indipendentemente dalla qualificazione “comune” di un bene, fornita dal regolamento condominiale, è necessario verificarne la concreta destinazione d’uso, in quanto se finalizzata all’utilità esclusiva di una porzione dello stabile, soltanto i proprietari di questa devono sopportarne le spese manutentive (Cass. civ., Sez. II, 2 marzo 2016, n. 4127).
L’art. 1123 codice civile costituisce il principio generale inerente ai criteri legali di ripartizione delle spese condominiali; tuttavia, lo stesso legislatore ha voluto disciplinare, direttamente, alcune fattispecie, quali le scale e gli ascensori (art. 1124 codice civile), i solai (art. 1125 codice civile), i lastrici solari e le terrazze a livello (art. 1126 codice civile). Questi articoli non sono altro che i corollari dei principi previsti nell’art. 1123 codice civile e si rammenta che sono tutti derogabili, per cui una convenzione, assunta da tutti, indistintamente, i condomini, può stabilire un differente criterio.
Così, la clausola contrattuale del regolamento può esonerare dal pagamento delle spese i proprietari delle sole autorimesse con accesso diretto dalla strada e che non costituiscono pertinenze degli appartamenti dello stabile. Non è, viceversa, idonea, poiché nulla, una delibera assembleare che modifichi, a maggioranza, la originaria tabella millesimale, considerato che incide sui diritti soggettivi dei singoli condòmini e una, siffatta, limitazione deve essere espressamente accettata da ogni aderente.
Infine, si rammenta che tutti i condòmini sono obbligati a corrispondere le spese che l’amministratore ha sostenuto ai sensi del secondo comma dell’art. 1135 codice civile, limitatamente, però, a quelli inerenti all’eliminazione dei pericoli che abbia potuto causare e non anche alla sua manutenzione e/o al suo risanamento, per esempio, devono essere pagate le spese di rimozione delle parti pericolanti di un cornicione ammalorato, ma non il suo ripristino.