[A cura di: Avv. Gian Vincenzo Tortorici]
Il legislatore del 1942, nel promulgare il codice civile, ha sostanzialmente ripreso il R.D. 15 gennaio 1934, n. 56, omettendo peraltro la definizione di condominio e limitandosi ad elencare nell’art. 1117 cod. civ. le parti e i servizi che si devono presumere comuni, mentre la giurisprudenza lo ha definito, ante riforma 2012, un mero ente di gestione delle cose comuni, sprovvisto di personalità giuridica. La legge 11 dicembre 2012, n. 220 non ha risolto la questione ma, introducendo ex novo alcuni articoli o modificandone altri, inerenti al patrimonio del condominio, ha indotto la giurisprudenza a ritenerlo fornito di soggettività giuridica [Cass., Sezz. Unite, 18 settembre 2014, n. 19663].
LE SPESE
La gestione del condominio comporta l’obbligo, non soltanto di conciliare le diverse esigenze personali dei condòmini, ma anche di effettuare alcune spese al fine di garantire la costante funzionalità di alcuni servizi (ad esempio, il portierato) e la perenne conservazione delle parti e dei manufatti comuni dello stabile (per esempio, il lastrico solare comune o la centrale elettrica).
L’obbligatorietà del pagamento delle spese da parte dei condòmini deriva direttamente dalla circostanza dell’essere comproprietari dei beni comuni ex art. 1117 cod. civ., per i quali sono state effettuate le suddette spese e, quindi, non dal fatto di essere state approvate in assemblea, in quanto trattandosi di una obbligazione propter rem, tale obbligo insorge nel medesimo momento in cui sono attuate le varie attività inerenti alla complessiva gestione del condominio. Quanto sopra dedotto discende dal disposto del secondo e del terzo comma dell’art. 1118 cod. civ., che stabiliscono:
* il condomino non può rinunziare al suo diritto sulle parti comuni;
* il condomino non può sottrarsi all’obbligo di contribuire alle spese per la conservazione delle parti comuni, neanche modificando la destinazione d’uso della propria unità immobiliare, salvo quanto disposto da leggi speciali.
Ne discende che la giurisprudenza ritiene che, nei confronti del condominio, l’obbligo del condomino di pagare i contributi per le spese di manutenzione delle parti comuni dell’edificio deriva non dall’approvazione della spesa e dalla ripartizione della stessa, atteso il carattere meramente dichiarativo di tali delibere, ma dalla circostanza per cui sia sorta la necessità della spesa ovvero l’attuazione concreta e reale di manutenzione e quindi per effetto dell’attività gestionale concretamente compiuta e non per effetto dell’autorizzazione accordata all’amministrazione per il compimento di una di queste attività di gestione. [Cass. civ., Sez. II, 9 settembre 2009, n. 23345].
Normalmente le spese vengono ripartite in base alle differenti carature millesimali (di proprietà, di ascensore, di riscaldamento, di gestione generale, etc.), ma le spese che ineriscono alla manutenzione straordinaria dello stabile, con i relativi beni accessori, e all’adeguamento degli impianti condominiali, alle nuove disposizioni legislative, sono sempre da ripartirsi tra i condòmini in forza della tabella millesimale di proprietà.
Tutte le spese che ineriscono al godimento delle parti e dei servizi comuni devono essere sempre corrisposte dai condòmini anche se un impianto, ad esempio quello centralizzato di riscaldamento, non funziona per omessa riparazione, salvo il diritto dei condòmini danneggiati a pretendere il risarcimento dei danni concretamente subiti [Cass., Sez. II, 4 luglio 2014, n. 15399].
ALIENAZIONE
La problematica sorge allorquando una unità immobiliare viene alienata.
La solidarietà passiva tra alienante ed acquirente di una unità immobiliare, ex art. 63 disp. att. cod. civ., comporta che l’acquirente deve pagare le spese non corrisposte dal suo dante causa esclusivamente per la gestione nel corso della quale avviene il trasferimento di proprietà e per la gestione immediatamente precedente, e ciò anche se nel riparto consuntivo si richiama un saldo relativo a più gestioni condominiali pregresse.
La responsabilità solidale dell’acquirente per il pagamento dei contributi dovuti al condominio dal venditore è limitata, ut supra dedotto, alla gestione in corso e a quella immediatamente precedente all’acquisto, trovando applicazione l’art. 63, IV comma, disp. att. cod. civ., e non già l’art. 1104 cod.civ., atteso che, giusto il disposto di cui all’art. 1139 cod. civ., la disciplina dettata in tema di comunione si applica (anche) al condominio solamente in mancanza di norme che (come appunto il citato art. 63) specificamente lo regolano [Cass., Sez. II, 27 febbraio 2012, n. 2979; Cass., Sez. II, 18 agosto 2005, n. 16975]; in questa fattispecie l’acquirente è quindi solo garante delle obbligazioni sorte in capo all’alienante e non, in queste, subentrante.
Del resto il legislatore, con questa previsione legislativa, ha voluto consentire al condominio di avere sempre la disponibilità finanziaria necessaria a sopportare le spese indispensabili per la sua gestione, potendo trovarsi, viceversa, in difficoltà se dovesse aggredire il condomino alienante che potrebbe non possedere più alcun bene pignorabile.
Proprio in virtù di ciò l’art. 63, in esame, si applica anche nei confronti dell’aggiudicatario di un’unità immobiliare in conseguenza di una procedura esecutiva immobiliare; non si applica, quindi, l’art. 2919 cod. civ., considerato, da una parte, il testo letterale dell’articolo de quo, che si riferisce genericamente a colui che subentra nella proprietà e, dall’altra, il principio generale, desumibile dall’art. 1104 cod. civ., concernente l’insorgere dell’obligatio propter rem dall’essere divenuto comproprietario delle cose comuni.
EREDITÀ
Tale principio non si applica agli eredi del de cuius che subentrano, a titolo universale, in ogni diritto e in ogni onere del loro dante causa, per cui questi sono obbligati a corrispondere l’intero importo dovuto anche se antecedente l’anno precedente all’accettazione dell’eredità; per contro non vi è tenuto colui che subentri al de cuius a titolo particolare, quale è un legatario [Cass., Sez. II, 13 novembre 2009, n. 24133].
DELIBERAZIONI
Per le spese di gestione e di manutenzione ordinaria l’obbligo al pagamento sorge ex lege al loro compimento stante l’obbligo dell’amministratore di erogare le spese correnti ex art. 1130, n. 3, cod. civ. e, quindi, della gestione stessa dell’amministratore, indipendentemente che la spesa sia stata prevista nel rendiconto preventivo, la cui approvazione ha la sola finalità di convalidare la congruità delle spese che il condominio prevede di dover sostenere.
In sostanza la giurisprudenza sembra distinguere tra obbligazione, che nasce dalla comproprietà dei beni, e debito, determinato dal dovere di adempiere il quantum deliberato dall’assemblea.
Per contro, in caso di vendita di una unità immobiliare in condominio, nel quale siano stati deliberati lavori di straordinaria manutenzione, ristrutturazione o innovazioni sulle parti comuni, è tenuto a sopportarne i costi chi era proprietario dell’immobile al momento della delibera assembleare che abbia disposto l’esecuzione dei detti interventi, avendo tale delibera valore costitutivo della relativa obbligazione, indipendentemente alla circostanza che venditore e compratore si siano diversamente accordati in ordine alla ripartizione delle relative spese, con una clausola ad hoc nel contratto di compravendita. Di conseguenza, ove le spese in questione siano state deliberate antecedentemente alla stipulazione del contratto di vendita, ne risponde il venditore, a nulla rilevando che le opere siano state, in tutto o in parte, eseguite successivamente, e l’acquirente ha diritto di rivalersi, nei confronti del medesimo, di quanto pagato al condominio per tali spese, in forza del principio di solidarietà passiva di cui all’art. 63 disp. att. cod. civ. e nell’arco temporale di questo stabilito [Cass., Sez. II, 3 dicembre 2010, n. 24654].
E la giurisprudenza di merito si è adeguata al principio de quo [Trib. Salerno, Sez. II, 9 luglio 2014 e Trib. Roma, Sez. X, 12 gennaio 2016, in Leggi d’Italia].