[A cura di: Benito Sicchiero – Assoedilizia]
Ci voleva l’illustrazione del rapporto “Questioni di Economia e di Finanza. Deindustrializzazione e terziarizzazione nelle regioni del Nord Ovest” presentato al Collegio Ghislieri dalla Banca d’Italia di Milano, assieme all’aggiornamento “L’economia della Lombardia: Andamento congiunturale e mutamenti strutturali”, perché avesse risposta logica la domanda sulle reali cause della pluridecennale perdita di competitività dell’Italia nei confronti dei Paesi europei più avanzati. La risposta è che il nostro tessuto imprenditoriale è composto prevalentemente da industrie troppo piccole, che non sono in grado di competere non potendo, dopo l’Unione Europea, utilizzare l’unico strumento che avevano: la svalutazione. Quindi: costo più alto del lavoro (infatti più grande è l’azienda meno incide il costo del personale), scarsa ricerca e innovazione e pure una cultura d’impresa più arretrata. Se ci aggiungiamo i nostri primati continentali di illegalità e corruzione, la rassegna è completa. Ed è stata accolta con attenzione dagli imprenditori, tra i quali il presidente di Assoedilizia e di Istituto Europa Asia, Achille Colombo Clerici (nella foto con Giuseppe Sopranzetti ed Alfio Noto).
A queste conclusioni si arriva interpretando la ricca messe di dati e grafici a disposizione. Mettendo a paragone i cluster (insieme di imprese, fornitori e istituzioni strettamente interconnesse) di 12 Paesi europei con il cluster Nord Ovest, dal 2000 al 2011 – ultimo dato a disposizione – si è visto salire di poco la media dell’Europa industrializzata ma scendere il Nord Ovest, che rimane la punta produttiva del Paese, di ben 7 punti percentuali. Con ricadute sul Pil, sull’occupazione, sull’economia delle famiglie e quant’altro.
In un panorama non roseo – nella guerra dei sette anni il Paese ha perso il 25% della capacità produttiva e il 10% del pil – la Lombardia se la cava. Si conferma, e si rafforza, la ripresa in termini di produzione, di export, di attività turistica, di occupazione e pure di consumi. È anche merito dell’Esposizione internazionale Expo 2015, partita sotto i peggiori auspici, e diventata ormai il simbolo di quanto può fare lo “scatto di reni” dell’orgoglio lombardo e italiano.
Ma una rondine non fa primavera. Gli italiani – dagli imprenditori alle famiglie – non sono ancora sicuri dell’inversione di rotta, e lo confermano i depositi bancari in aumento: meglio tenere i soldi al sicuro invece di fare investimenti. C’è bisogno di fiducia; è indispensabile perciò che la politica economica dia segnali chiari. Emblematica a questo proposito la vicenda della tassazione sulla casa. Essa rappresenta i tre quarti della ricchezza degli italiani (6.000 miliardi di euro su 8.000). Non considerando le case in cui si abita, ma le cosiddette “seconde case” date in locazione che producono reddito, l’ipertassazione ha azzerato i profitti. Con il risultato che nessuno più investe, l’industria edilizia è in crisi ed ha trascinato con sé l’indotto, dai mobilieri agli idraulici, dai mediatori ai promotori immobiliari. Quindi disoccupazione e crollo dei consumi.
Lo Stato, per racimolare qualche miliardo, ha contribuito in maniera considerevole a ridurre di mille miliardi i risparmi degli italiani.