[A cura di: Flavio Maccione – segr. naz. Appc]
Tutti sono consapevoli che la casa, un volano determinante per lo sviluppo e la crescita, necessita di un approfondito restyling fiscale. No a cambi di sigle senza mutarne le consistenze. Non con il cambio di acronimi, ma con ampie e approfondite potature, che riducano il peso fiscale, accresciuto negli ultimi quattro anni del 176%, si può fare ripartire il settore immobiliare. Alleggerire il carico delle tasse sulla casa deve essere l’imperativo categorico, se vogliamo invertire la corsa all’impoverimento, scacciare il timore per il futuro e tornare a consumare.
L’Italia, sul piano internazionale, è il Paese che ha la maggiore pressione fiscale; pressione che è salita con il governo Monti al 2,2 % sul PIL, contro una media OCSE dell’1,27% e, paragonandola alla sola media dell’UE dove la pressione scende all’1,15% sul Pil, è evidente quanto in Italia pesi il fisco.
Accingersi, pertanto, a parlare del “mattone”, comparto che rappresenta il 20% del PIL nazionale, si rischia di essere monotoni e ripetitivi, in uno scenario che continua ad essere deprimente e senza via d’uscita, il governo Renzi, con la local tax demanderà agli Enti locali l’entità dei prelievi, senza intraprendere un percorso che lasci intravedere un barlume di speranza sull’alleggerimento della tassazione, che ha raggiunto una pressione del 43,5%.
Tutti si sono affannati e si affannano, senza riuscire a rimettere in moto il settore dell’immobile, sul quale in tanti hanno concentrato i loro sogni e le loro speranze. Ciò che era stato inseguito e perseguito, a suon di sacrifici, oggi, a meta raggiunta, non produce sollievo, o appagamento, ma innesca preoccupazione e angoscia per i numerosi oneri che vi incombono e per il timore di non riuscire a mantenerlo. Infatti la pressione fiscale quale fiume tumultuoso, nel suo cammino, ha travolto completamente un settore portante dell’economia. Mai, come in questi ultimi anni, un susseguirsi di normative, che si sono frammentate in infiniti rivoli, introdotte a livello centrale e locale, ha reso impossibile il districarsi in una giungla impenetrabile e oscura, che, tra l’altro, ha prodotto infinite sperequazioni.
La tanto auspicata local tax, che spazzerà via IMU prima e seconda casa, Tasi, addizionali Irpef e tasse varie e, che si affaccia ad un orizzonte ancora ricolmo di nembi minacciosi, di difficoltà e di dubbi, dovrebbe rasserenarci, almeno, riunendo in un unico appellativo le tasse locali, che colpiscono, in forma diretta ed indiretta, la casa, portando ad una semplificazione delle imposte comunali, che ci consenta di respirare in un groviglio di infinite regole, che sono cresciute e si sono differenziate in modo esponenziale. Ma ha anche l’effetto di procurarci e fare insorgere serie preoccupazioni, visto che le amministrazioni locali, sempre più fameliche ed a corto di risorse, alle prese con le necessità e le difficoltà pratiche di “fare cassa”, saranno ancora pronte a colpire il “sudato” e sempre più “attenzionato” mattone, con il creare una “tassa superconcentrata”. Così, la casa, quella chimera da inseguire, si è trasformata in incubo dal quale liberarsi. Oggi in molti rinuncerebbero al loro tetto di proprietà, pur di non fare i conti con una tassazione, che, nonostante le rassicurazioni, i proclami, gli annunci, resta in tendenziale crescita, e continua a mordere, ma il mercato immobiliare è in caduta libera.
Non si può continuare ad accettare gravami fiscali dopo che si sono succeduti governi che, quanto a tasse, hanno usato e usano lo stesso spartito musicale. No. Il mattone non deve essere per lo Stato e gli enti locali il bancomat dal quale continuare a prelevare.