[A cura di: avv. Gianfranco Rosati – resp. Commissione legale Appc]
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 37 del 03/01/14) ha, di fatto, mutato un orientamento consolidato della Giurisprudenza in tema dell’art. 13 L. 431/98. L’art. 13 sovramenzionato titolato “Patti Contrari alla Legge” prevede al 1° comma la nullità di ogni pattuizione volta a determinare un canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato.
In tale ipotesi (vedi 5° comma) il conduttore, con azione proponibile sino a 6 mesi dopo la riconsegna dell’unità immobiliare può chiedere la restituzione di quanto pagato in eccesso.
Questo il quadro.
Sino ad oggi la Giurisprudenza consolidata dalla S.C. (vedi sent. n. 8230/10; 8148/09 e soprattutto n. 16089/03) aveva escluso che l’art. 13 potesse colpire con la sanzione della nullità, in conseguenza della mancata registrazione, la pattuizione di un canone superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato poiché la “ratio” era il divieto di imposizione di canoni maggiori ma solo nel corso dello svolgimento del rapporto locatizio.
In altri termini, la Suprema Corte argomentava che anche se era stato versato dal conduttore un canone superiore a quello stabilito nel contratto scritto e registrato e quello superiore risultava da altro atto separato, (logicamente non registrato), trattavasi in ipotesi di simulazione parziale per cui era valida tra le parti la pattuizione contenuta nella scrittura privata non registrata ed il conduttore non era legittimato a richiedere quanto corrisposto in eccesso.
La Suprema Corte operava un ragionamento squisitamente privatistico escludendo, in virtù dell’istituto della simulazione, in questo caso relativa, che violazioni di carattere tributario potessero colpire con la nullità pattuizioni contrattuali.
Questa impostazione era ed è avvalorata anche dall’art. 10 ultimo comma della L. 212/01 (statuto dei diritti del contribuente) laddove prevede che “violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possano essere causa di nullità del contratto”. La Cassazione, quindi, operava un netto distinguo tra patologia del negozio e/o diritto privato e diritto tributario nel senso che le violazioni di questi potranno comportare sanzioni di carattere fiscale, ma non potranno mai inficiare pattuizioni contrattuali.
In questo quadro è intervenuta l’ordinanza n. 37 del 03/01/14 sovramenzionata che in base alle teorie di “causa concreta del contratto” e “abuso di diritto”, ha argomentato che in presenza di corresponsione di un canone superiore a quello risultante dal contratto registrato si ha la realizzazione di un risultato vietato dalla Legge; con la conseguenza che causa concreta di siffatto negozio è l’elusione fiscale che, ponendosi in aperta violazione di una norma di legge, non può che essere affetto da nullità.
Orbene, tale impostazione presenta il fianco a diverse critiche.
In primis: è pacifico che la Suprema Corte, mutando l’orientamento giuridico consolidato in tema, ha individuato nella lotta al cosiddetto mercato sommerso degli affitti (ergo intento puramente fiscale) la ratio dell’art. 13 L. 431/98. Invero tale interpretazione appare una forzatura del dettato legislativo. Infatti il fine cui tende l’articolo in esame è quello di sanzionare con la nullità qualsiasi pattuizione in corso di contratto tendente ad assicurare al locatore un canone maggiore di quello dichiarato, non se questi è stato pattuito “ab origine”. In sostanza: i principi dell’ordinanza 37/14 si possono individuare, come già citato nella “causa concreta del contratto” e “abuso di diritto”.
È indispensabile esaminare alcuni precedenti in cui il Legislatore ha imposto “sanzioni privatistiche” (nullità e/o improcedibilità) come diretta conseguenza di illeciti fiscali. Si è tentato quindi di commistionare diritto privato e diritto tributario ma, come si vedrà, con risultati privi di significato.
Procediamo per gradi:
* Anno 1998, L. 431/98 all’art. 7 prevedeva, quale condizione per l’esecuzione del provvedimento di rilascio di un immobile, l’onere per il proprietario di dimostrare che:
– il contratto di locazione era stato registrato;
– l’unità immobiliare era stata denunciata ai fini dell’allora Ici;
– il relativo reddito fosse stato dichiarato.
La Consulta, con la propria sentenza n. 333/01 ne ha dichiarato l’incostituzionalità;
* Anno 2011, D. Lgs 23/11 all’art. 3, commi 8 e 9, comminava pesantissime sanzioni al locatore per la mancata registrazione del contratto (contratto di 8 anni ad un canone calcolato sul triplo della rendita catastale, un vero e proprio esproprio indiretto).
Anche qui la Consulta, con la sentenza 50/14 ne ha dichiarato l’incostituzionalità.
Ebbene operando un esame sistematico del “corpus iuris” vigente (con particolare riferimento anche alla L. 212/01 statuto del contribuente) ed alla luce della costante giurisprudenza della Corte Costituzionale non si può che concludere che ogni tentativo del Legislatore di compenetrazione tra diritto privato e diritto tributario è stato perentoriamente cassato.
La ratio di siffatta impostazione è da ricercarsi nel principio, costituzionalmente garantito, di salvaguardia dell’autonomia delle parti nell’ambito del contratto per cui, in presenza di illeciti fiscali (evasione e/o elusione), l’autore ne dovrà rispondere autonomamente al fisco, ma tali inadempimenti non potranno mai essere causa di nullità di qualsivoglia accordo contrattuale.