[A cura di: Paolo Ciri – Delegato Uppi Spoleto]
A volte mi permetto di pubblicare delle riflessioni o degli approfondimenti che pretendono di trarre delle conclusioni sul piano giuridico. Questa volta intendo aprire un dibattito, cerco risposte, sebbene, come si vedrà, ne ho trovata una autorevole e convincente. Il punto è: per quali durate si proroga, civilisticamente e fiscalmente, un contratto concordato giunto alla scadenza della sua durata prevista?
Per semplicità parliamo di un 3 + 2, non di un contratto con il primo periodo più lungo del minimo. Alla scadenza dei primi tre anni nulla quaestio, tra le parti: il contratto, in mancanza di valida disdetta al primo periodo o per recesso libero, si proroga di altri due. Per l’Agenzia delle Entrate idem, si presenta una proroga per due anni, gratuitamente se il contratto ha la opzione cedolare, altrimenti pagando il 1,4% del canone annuo.
Ma al termine dei 5 anni cosa succede?
La 431/98 (art. 2, comma 5) ci dice: “Alla scadenza del periodo di proroga biennale ciascuna delle parti ha diritto di attivare la procedura per il rinnovo a nuove condizioni o per la rinuncia al rinnovo del contratto comunicando la propria intenzione con lettera raccomandata da inviare all’altra parte almeno sei mesi prima della scadenza. In mancanza della comunicazione il contratto è rinnovato tacitamente alle medesime condizioni”.
Presupponiamo, ovviamente, per caso di scuola, che non vi sia stato “rinnovo a nuove condizioni”, cioè nuova stipula di altro contratto, né, come detto, rinuncia. Il contratto si “rinnova” e lo fa “alle medesime condizioni”.
Quindi? Dobbiamo considerarlo rinnovato per 3 anni e poi per due senza possibilità di disdetta da parte del proprietario per altri 5 anni? Una interpretazione esegetica direbbe di sì, ma con metodo teleologico (ed anche sistematico) questa interpretazione andrebbe a vanificare l’agevolazione che politicamente si voleva concedere al proprietario, legandolo per un periodo più breve rispetto al contratto libero. Esso, una volta scaduto, si proroga di 4 anni, in questo caso il concordato di 5 anni (o più, se fosse un 6+2).
Con questa soluzione, quindi, i periodi saranno 3/5/8/10/13/15 e così via.
Come Uppi Spoleto abbiamo inoltrato una richiesta formale di consulenza preventiva alla Agenzia delle Entrate, in attesa di risposta. Informalmente, tramite colloqui personali nei loro uffici, è nata una seconda interpretazione: il periodo di 2 anni sarebbe un “beneficio” valido solo per la prima fase di vita del contratto. Dopo di esso la proroga è sempre di 3 anni, perché quelle erano le “medesime condizioni” iniziali.
Così i periodi risultano essere 3/5/8/11/14/18.
Infine un’altra visione ancora. Il primo periodo è di 3 anni. Il rinnovo è di 2. Se le “medesime condizioni” sono riferite, come sono, alla proroga e non al periodo iniziale, esse vanno di due anni in due anni. Quindi 3/5/7/9/11/13/15.
Come detto, la questione è rilevante per verificare la validità delle disdette e la scadenza di fine locazione, e, non di meno, per il corretto adempimento fiscale della “proroga” (“tipo adempimento” 2 dell’RLI – registro locazioni immobili, per intenderci). La sanzione, peraltro, non è irrilevante: 258 euro.
La soluzione cui accennavo in apertura prima è del Tribunale di Torino (non recente, 26/6/2008). Già in tale sentenza si ritiene che la questione è nuova e controvertibile, tanto da giustificare la compensazione delle spese di causa. Ora, sono passati molti anni, ma non abbiamo troppe certezze interpretative, al di là di questa, sotto riportata. Secondo il Giudice, la proroga automatica di due anni si applica una sola volta nella vita del contratto. Prima e dopo di essa i periodo sono sempre di 3 (tre) anni. O comunque quelli pattuiti, se più lunghi, non certo più brevi. Il dettaglio del ragionamento, molto lineare, lo leggerete direttamente in sentenza.
Per cui i periodi sono: 3+2+3+3+3 cioè 3, 5, 8, 11, 14, 17.
Ne conseguono molti effetti, tra i quali:
* eventuali proroghe o disdette al settimo anno sono errate e da ricondurre “ope legis” all’ottavo;
* all’ottavo anno va fatta proroga fiscale a pena di sanzione.
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TRIBUNALE TORINO
Sez. VIII civ.,
sent. 26.6.2008
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MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO
I. In linea di fatto è pacifico in causa:
– che le parti, in data 30 marzo 2000, hanno concluso contratto di locazione ad uso abitativo avente ad oggetto l’immobile sito in Torino, via …;
– che il contratto, stipulato ai sensi dell’art. 2, comma 3, L. 431/98, prevede la durata di “anni tre dal giorno 01 maggio 2000 al giorno 30 aprile 2003 e alla prima scadenza … è prorogato di diritto di due anni…” (art. 1 contratto prodotto);
– che con lettera pervenuta al conduttore in data 3 dicembre 2005 il locatore “dà formale disdetta del contratto in corso per la prima scadenza utile”.
Sulla base di tali elementi l’IB srl intima sfratto per finita locazione alla data del 30 aprile 2007, ritenendo che, dopo il primo triennio, terminato al 30 aprile 2003, il contratto si sia rinnovato di due anni in due anni fino al 30 aprile 2007; a tale ultima data, in forza della lettera di disdetta pervenuta il 3 dicembre 2005, non si è più verificato alcun rinnovo.
Il convenuto contrasta la tesi attorea ritenendo che la norma in questione, art. 2, comma 5, L. 431/98, prevedendo il rinnovo “alle medesime condizioni” comporti necessariamente la reiterazione del doppio periodo, vale a dire tre anni di durata, più due di proroga, con l’ulteriore conseguenza che al termine del triennio il locatore potrà esclusivamente esercitare il diritto di diniego di rinnovazione nelle limitate ipotesi tipicizzate dall’art. 3, L. 431/98.
Secondo la prospettazione di parte conduttrice, quindi, nella vicenda in esame, concluso il primo quinquennio al 30 aprile 2005, il contratto si è rinnovato per un triennio, fino al 30 aprile 2008 e per tale termine la lettera di disdetta non è efficace in quanto non titolata, ex art. 3, L. 431/98, mentre potrà validamente operare al termine dell’ulteriore biennio, vale a dire al 30 aprile 2010.
II. La L. 431/98 prevede tre tipologie di contratto di locazione degli immobili adibiti ad uso abitativo:
– il c.d. quattro più quattro a canone libero (art. 2, comma 1);
– il c.d. tre più a canone concertato (art. 2, commi 3-5);
– il contratto di natura transitoria (art. 5).
Il contratto in questione è pacificamente riconducibile alla seconda categoria; in particolare assume specifico rilievo la disciplina posta comma 5, del citato art. 2, secondo il quale:
I contratti di locazione stipulati ai sensi del comma 3 non possono avere durata inferiore ai tre anni, ad eccezione di quelli di cui all’articolo 5. Alla prima scadenza del contratto, ove le parti non concordino sul rinnovo del medesimo, il contratto è prorogato di diritto per due anni fatta salva la facoltà di disdetta da parte del locatore che intenda adibire l’immobile agli usi o effettuare sullo stesso le opere di cui all’articolo 3, ovvero vendere l’immobile alle condizioni e con le modalità di cui al medesimo articolo 3. Alla scadenza del periodo di proroga biennale ciascuna delle parti ha diritto di attivare la procedura per il rinnovo a nuove condizioni o per la rinuncia al rinnovo del contratto comunicando la propria intenzione con lettera raccomandata da inviare all’altra parte almeno sei mesi prima della scadenza. In mancanza della comunicazione il contratto è rinnovato tacitamente alle medesime condizioni.
La norma non è perspicua e la sua equivoca formulazione rende possibili tre diverse interpretazioni secondo le quali, nella successione dei contratti di locazione: a) si susseguono alternativamente il triennio e il biennio (3+2, 3+2, 3+2, …); b) trascorso il triennio il rinnovo è comunque biennale (3+2, +2, +2, …); c) trascorso il quinquennio il rinnovo è triennale (3+2, +3, +3, …).
Non risultano precedenti che espressamente abbiano affrontato la questione.
Ad avviso del giudicante appare più condivisibile la terza ipotesi interpretativa.
Anzitutto, si osserva che nei due modelli contrattuali previsti dalla legge, vale a dire il 4+4 a canone libero e il 3+2 a canone concertato, la ratio appare essere quella di garantire un congruo periodo iniziale di godimento dell’immobile a favore del conduttore che, infatti, può fare affidamento su un termine di otto o di cinque anni, fatte salve le ipotesi eccezionali di diniego di rinnovo ex art. 3 L. 431/98.
Superato il periodo iniziale, il contratto si rinnova in base alla sua durata originaria che in un caso è “non inferiore a quattro anni” (comma 1) e nell’altro caso è non “inferiore ai tre anni” (comma 5).
Infatti, lo stesso comma 5 dell’articolo in esame prevede esplicitamente che la proroga di diritto di due anni si verifica “alla prima scadenza del contratto”; da ciò si ricava che il contratto scade con il triennio, quindi la sua durata è di tre anni, e solo alla prima scadenza si ha la proroga di diritto biennale.
Peraltro, la proroga “di diritto per due anni” si verifica solo “ove le parti non concordino sul rinnovo”; il che conferma ulteriormente che la durata del contratto è quella originariamente pattuita dalle parti le quali, qualora manifestino un espresso consenso al rinnovo del contratto, possono escludere totalmente il meccanismo della proroga ex lege.
Inoltre, ritenere che il contratto si debba rinnovare secondo il modello di tre anni più due, comporterebbe, come sostenuto dall’odierno convenuto, che al termine di ogni nuovo triennio il locatore possa disdettare il contratto solo ove ricorrano le condizioni previste dall’art. 3 L. 431/98; ma tale conclusione è sicuramente esclusa dalla chiara formulazione del citato art. 3 per il quale “alla prima scadenza dei contratti stipulati ai sensi del comma 1 dell’art. 2 e … del comma 3 del medesimo articolo, il locatore può avvalersi della facoltà di diniego del contratto”.
Infine, appare di dubbia ragionevolezza un modello contrattuale secondo il quale, da un lato, i rinnovi si succedano con durata differente ed alternata, e dall’altro lato, la disdetta possa essere libera alle scadenze biennali, ma debba essere titolata alle scadenze triennali; non si coglie, infatti, quale potrebbe essere la ratio di una disciplina così differenziata.
Alla luce delle considerazioni ora svolte appare preferibile concludere che:
– il contratto di locazione delineato dai commi 3-5 dell’art. 2 L. 431/98 ha durata triennale, o comunque “non inferiore ai tre anni”;
– alla scadenza del primo triennio, o comunque del primo periodo, le parti possono concordare un rinnovo contrattuale per la stessa durata (ipotesi ammessa dalla presenza dell’inciso “ove le parti non concordino sul rinnovo”); salva la facoltà per il locatore di esercitare il diniego di rinnovo alle condizioni dell’art. 3;
– qualora le parti non concordino sul rinnovo ovvero il locatore non eserciti il diniego di rinnovo, opera la proroga biennale che, quindi, si configura quale meccanismo di tutela a favore del conduttore, il quale in tal modo, da un lato, è avvertito del fatto che il locatore presumibilmente non intenderà “rinnovare” il contratto alla scadenza biennale e, dall’altro lato, ha un congruo periodo di tempo (due anni) per ricercare una nuova soluzione abitativa;
– al termine del biennio di proroga le parti possono attivare “la procedura per il rinnovo a nuove condizioni” o “la rinuncia al rinnovo del contratto”, vale a dire la disdetta dello stesso;
– in assenza di una delle due predette iniziative, che sono vincolate alla forma scritta (“lettera raccomandata da inviare all’altra parte almeno sei mesi prima della scadenza”), il contratto “è rinnovato tacitamente alle medesime condizioni”, vale a dire uguale canone e durata pari a quella originariamente pattuita nella misura “non inferiore ai tre anni”.
III. Nella vicenda in esame le considerazioni sinora svolte comportano che:
– il contratto di locazione ha avuto la prima scadenza triennale al 30 aprile 2003;
– entro tale termine non si è concluso alcun accordo per il rinnovo;
– quindi, il contratto è stato prorogato di diritto per il biennio fino al 30 aprile 2005;
– entro tale termine non si è concluso alcun accordo per il rinnovo, né stata inviata alcuna lettera di disdetta;
– pertanto, il contratto si è rinnovato tacitamente di tre anni, fino al 30 aprile 2008;
– entro i sei mesi precedenti la predetta scadenza il locatore ha inviato la lettera di disdetta libera che è pervenuta al conduttore in data 3 dicembre 2005.
In conclusione, in accoglimento della domanda attorea, formulata in via subordinata, è dichiarata la cessazione al 30 aprile 2008 del contratto di locazione concluso tra le parti in data 30 marzo 2000, avente ad oggetto l’immobile sito in Torino, via ….
Con riferimento al termine per il rilascio, considerato il tempo trascorso dalla disdetta, ex art. 56 L. 392/78, si ritiene opportuno fissare la data del 30 novembre 2008.
IV. La novità e la controvertibilità della questione oggetto di causa, nonché la parziale reciproca soccombenza, rendono equa l’integrale compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il giudice definitivamente pronunciando, respinta ogni diversa istanza, eccezione, deduzione,
dichiara che il contratto di locazione concluso tra le parti in data 30 marzo 2000, avente ad oggetto l’immobile sito in Torino, via …, è cessato al 30 aprile 2008;
dichiara tenuto e condanna TAS a rilasciare i locali sopra descritti, liberi da persone e cose di sua proprietà, fissando per il rilascio la data del 30 novembre 2008;
dichiara integralmente compensate tra le parti le spese processuali del presente giudizio.