[A cura di: dott. Emanuele Mascolo – amministratore Anapi Bari, manumascolo@libero.it]
Tra le vicende che possono interessare chi vive all’interno di un condominio, di non poco conto sono quelle legate ai diritti, in particolare quelli riguardanti il condomino che vede lesa la sua proprietà da parte del condominio, a sua volta obbligato dalla Pubblica Amministrazione ad eseguire alcune opere di ristrutturazione. Di questa problematica si è occupata di recente la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 25292 del 16 dicembre 2015.
LA VICENDA
A proporre ricorso alla Corte di Cassazione è stato un condominio di Prato, avverso gli eredi di un condomino, il quale in primo grado citava in giudizio proprio il condominio, per domandare la rimozione di “plinti e travature” dal fondo di sua proprietà, installate senza averne chiesto il consenso. In primo grado e in Appello, il condominio fu condannato a risarcire i danni al singolo condomino. Quest’ultima in particolare, condannava il condominio “ per responsabilità da fatto lecito dannoso” secondo il principio del contemperamento di esigenze, in particolare l’esigenza della pubblica incolumità che la Pubblica Amministrazione ha perseguito con l’ordinanza di esecuzione dei lavori del fabbricato.
LA CASSAZIONE
Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione, sostenendo che in una situazione come quella di specie, di coesistenza di due diritti (tra condominio ad eseguire alcune opere di ristrutturazione e il condomino che vede lesa la sua proprietà) il condominio deve indennizzare il danno subito dalla proprietà del condomino, posto che “nessuno dei due diritti appare sacrificabile sull’altro.”
Spiega la Suprema Corte, infatti, che ogni volta in cui sussistono due diritti entrambi da tutelare, il cui esercizio rende menomato l’altro diritto contrapposto, il soggetto danneggiato nella sua proprietà esclusiva deve essere risarcito.
Il principio enunciato dalla Corte di Cassazione discende dall’articolo 42 della Costituzione, comma numero 2 e 3 secondo cui “ la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale”; nonché dall’articolo 2041 del codice civile che recita: “ Chi, senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra persona è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale. Qualora l’arricchimento abbia per oggetto una cosa determinata, colui che l’ha ricevuta è tenuto a restituirla in natura, se sussiste al tempo della domanda”.
I PRECEDENTI
La Corte di cassazione fa notare che, nel bilanciamento di due interessi collidenti come nel caso de quo, in materia condominiale la linea guida è dettata dalla littera legis dell’articolo 1127 del codice civile, che al comma 4 recita: “ chi fa la sopraelevazione deve corrispondere agli altri condòmini un’indennità.”
In tal senso si possono richiamare alcuni recenti precedenti giurisprudenziali. Utile per capire ed approfondire il senso della norma è la giurisprudenza secondo cui “ in materia di condominio negli edifici, la nozione di aspetto architettonico, di cui all’art. 1127, cod. civ., che opera come limite alla facoltà di sopraelevare, non coincide con quella, più restrittiva, di decoro architettonico, di cui all’art. 1120 cod. civ., che opera come limite alle innovazioni, sebbene l’una nozione non possa prescindere dall’altra, dovendo l’intervento edificatorio in sopraelevazione comunque rispettare lo stile del fabbricato e non rappresentare una rilevante disarmonia in rapporto al preesistente complesso, tale da pregiudicarne l’originaria fisionomia ed alterare le linee impresse dal progettista (C. Cass. Civ., n. 10048/2013)”.