[A cura di: avv. Saveria Del Vecchio – Ape Torino]
La convivenza in condominio è di per sé piuttosto complicata e facile fonte di contenzioso, e le immissioni moleste (rumori, odori, vibrazioni ecc.) sono una delle maggiori cause di conflitto tra i condòmini. Infatti, gli odori del ristorante o del forno sotto casa, il volume alto degli apparecchi radiotelevisivi, porte e portoni chiusi con violenza, prove musicali di aspiranti musicisti, animali domestici, possono rendere molto difficile la convivenza in condominio.
Quando i richiami ai vicini affinché facciano maggiore attenzione alla quiete altrui non portano risultati apprezzabili, occorre valutare quali validi rimedi possa adottare il condomino vittima delle immissioni per la tutela del proprio diritto. Innanzitutto bisogna fare riferimento al regolamento di condominio, di natura contrattuale o approvato con il consenso unanime di tutti i condòmini, e verificare se preveda limiti all’utilizzazione delle singole proprietà esclusive.
Qualora il regolamento di condominio non dica nulla al riguardo, il condomino potrà rivolgersi all’autorità giudiziaria avvalendosi dell’art. 844 del codice civile che vieta le immissioni di fumo o calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e simili propagazioni. In casi particolarmente gravi, si potrà avanzare la richiesta che i provvedimenti siano trattati con carattere di urgenza a tutela del diritto alla salute.
La norma sopra citata prevede una sorta di inversione dei diritti, perché pone in risalto il diritto del proprietario di usufruire dell’immobile come meglio crede, quindi, riconoscendogli anche la possibilità di far rumore o produrre odori, fumo ecc. purché non superino la normale tollerabilità.
Sostanzialmente le immissioni entro determinati limiti vanno sopportate, perché scatti la tutela occorre dimostrare che superino la normale tollerabilità. L’art. 844 del codice civile trova applicazione anche negli edifici in condominio nel caso un condomino, nel godimento della propria unità immobiliare o delle parti comuni, dia luogo ad immissioni moleste o dannose nella proprietà di altri condòmini.
Il concetto di normale tollerabilità, però, non è assoluto ma relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo in base alle caratteristiche della zona, le abitudini degli abitanti della medesima e le attività normalmente svolte in quel determinato contesto. La giurisprudenza ha infine chiarito che deve trattarsi di propagazioni che avvengono con continuità o, almeno, periodicità.
L’autorità giudiziaria nell’applicazione della norma, dovrà contemperare le ragioni della produzione con quelle della proprietà. L’evoluzione giurisprudenziale negli ultimi anni è giunta però a determinare che il contemperamento di interessi tra le esigenze della produzione e le ragioni della proprietà, previsto dalla norma sulle immissioni, deve essere oggetto di in una lettura costituzionalmente orientata, la quale tenga conto della esigenza di privilegiare l’utilizzo dei fondi che sia maggiormente compatibile con il diritto costituzionalmente garantito alla salute. “Si tratta di una interpretazione estensiva della norma, costituzionalmente orientata, in relazione al fattore salute, che è ormai intrinseco nella attività di produzione oltre che nei rapporti di vicinato (cfr.Cass. 3 febbraio 1999 n.915, Cass.4 aprile 2001 n.4963)”.
Esaminando i soggetti legittimati a promuovere la domanda ai sensi dell’art. 844 del codice civile, bisogna distinguere: se la tutela riguarda le parti comuni dell’edificio, in tal caso sarà legittimato l’amministratore, che potrà agire anche per l’osservanza del regolamento contrattuale che imponga restrizioni inerenti le proprietà esclusive, anche a prescindere dalla violazione del criterio della normale tollerabilità in tal caso. Se, invece, la tutela riguarda le parti di proprietà esclusiva dei singoli condòmini, legittimato sarà il proprietario o il titolare di un diritto reale o personale di godimento.