Telefonia cellulare, tecnologia mobile di quinta generazione e internet delle cose. E’ questo il nuovo mondo “wireless” che si sta affacciando sulle nostre città, meglio conosciuto come 5G e ancora non proprio digerito – né davvero compreso – da una utenza rimasta troppo “potenziale” e oltremodo timorosa perchè spaventata dalle mille tesi e congetture che invadono stampa, social e salotti mondani.
Chi pensava che in tempo di Covid-19 e smart-working si sarebbe registrata una spinta decisiva verso l’accoglimento di questa nuova frontiera è rimasto deluso, tant’è che da più parti – mentre persistono atteggiamenti dubbiosi su una connettività spesso giudicata “estrema” – si è sottolineato, dati alla mano, che l’Italia è rimasta ferma al terz’ultimo posto nella graduatoria dei paesi europei.
Come stanno veramente le cose? E perchè tanta preoccupazione? La redazione di Italia Casa ha intervistato sull’argomento l’avvocato Michele Zuppardi, giornalista, articolista giuridico, e attento studioso di una materia che nel breve periodo coinvolgerà un numero impressionante di edifici con inevitabili risvolti anche in campo condominiale.
Avvocato Zuppardi, ma c’e’ proprio bisogno del 5G per rimanere al passo con l’innovazione tecnologica?
Molti credono erroneamente, purtroppo, che l’obiettivo principale degli operatori del settore sia quello di migliorare le performances delle nostre chiacchierate sui telefoni cellulari, senza aver compreso – invece – che da tempo è in atto una nuova era degli strumenti wireless finalizzata ad apportare un determinante salto di qualità sulla loro capacità di collegarsi attraverso l’utilizzo di onde millimetriche di alta frequenza.
Ci spieghi meglio
Tecnicamente parlando, si tratta di riconvertire la diffusione dei più conosciuti ripetitori giganti che assicurano la tenuta delle macrocelle anche per diversi chilometri, favorendo l’installazione di antenne più piccole – ma molto ravvicinate – al fine di collegare tra loro le cosiddette small cells, mini aree ricomprese fra una decina e qualche centinaio di metri, rispettivamente catalogate in celle indoor e outdoor.
Un’antenna per ogni edificio, dunque…
Praticamente si, e ciò in quanto il 5G utilizza onde elettromagnetiche che hanno una frequenza talmente elevata da non riuscire ad oltrepassare i muri degli edifici e dunque – a maggior ragione – i tanti ostacoli presenti nelle città, tenuto conto – per rendere meglio l’idea – che persino la pioggia e le foglie sono capaci di assorbirle impedendone la “resa” necessaria al funzionamento dell’ ”internet delle cose”.
E se le assemblee condominiali decidessero di opporsi?
Credo che il problema non avrà motivo di esistere, visto che sin dalla costituzione del comitato Alleanza italiana Stop 5G, nato per richiedere la moratoria della sperimentazione del nuovo standard di telecomunicazioni, sono state numerose le ordinanze dei Sindaci dirette a impedire l’evoluzione del relativo programma di diffusione ed oggi è intervenuta addirittura una legge che blocca – di fatto – tali iniziative dei Comuni.
Si riferisce al famoso decreto semplificazioni, vero?
Si, la norma è quella, e prevede che gli Enti civici possono senz’altro adottare regolamenti per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici, ma il tutto escludendo la possibilità di introdurre limitazioni alla localizzazione di reti di qualsiasi tipo in aree generalizzate del territorio.
Ma Lei, avvocato, che idea si è fatto sulla pericolosità del 5G?
Mi limito, per ora, a ricordare la posizione del professore Alessandro Polichetti dell’Istituto Superiore di Sanità, il quale afferma che la proliferazione delle antenne “non dovrebbe comportare aumenti generalizzati delle esposizioni in quanto le ridotte dimensioni delle small cells comporteranno delle potenze di emissione più basse”, fermo restando che “gli studi epidemiologici e sperimentali non suggeriscono l’esistenza di rischi a lungo termine”.
Cosa immaginare, allora, per il prossimo futuro?
I colossi Huawei ed Ernest & Young ritengono che nei prossimi tre lustri questo delicato e ancora incompreso settore potrebbe apportare al Pil italiano un impatto più che positivo, quantificato in circa ottanta miliardi di euro, su cui pende però la scure dei ritardi e con essa il rischio di forte depauperamento delle ghiotte potenzialità dell’affare. La questione è dunque di non poca importanza, e ritengo possa senz’altro meritare l’approfondimento che avrò il piacere di firmare per la rivista cartacea Italia Casa in uscita nel prossimo mese di febbraio 2021, alla cui condivisione invito sin d’ora tutti i nostri lettori.
Avv. Michele Zuppardi avvocato civilista cassazionista, giornalista pubblicista e formatore di lungo corso, ha fondato l’omonimo studio legale agli inizi degli anni 90 nella città di Taranto, dove vive e lavora. Collaboratore di numerose testate giornalistiche a diffusione locale e nazionale, negli ultimi anni si è particolarmente dedicato all’approfondimento di temi giuridici condominiali . E’ approdato in qualità di coordinatore editoriale alla casa editrice specializzata di settore “LibriCondominio.it”. Ideatore e coordinatore della collana editoriale “Litigare, ma non troppo”, edita da Libricondominio.